mi piace leggere, viaggiare e il mare in tutte le stagioni. credo fermamente in tutte le ragioni dell'essere, nel suo manifestarsi e nella profonda bontà dell'animo umano.

venerdì 28 ottobre 2011

SCUOLA DI COUNSELING FAMILIARE E DELL’ETA’ EVOLUTIVA 3° ANNO 2007-2008 - GRUPPO B TESI

LA RELAZIONE D’AIUTO IN UN CONTESTO DI MALATTIA ONCOLOGICA

GIOVANNA DI MARTINO

A Sandro, con immenso amore.





INTRODUZIONE



PARTE PRIMA : LA DIAGNOSI DI CANCRO


1 - PERCHE’ PROPRIO A ME?

1.1 - PROSPETTIVE MEDICHE E TRADIZIONI CULTURALI
1.2 - LE PAURE
1.3 - LE FASI EMOTIVE DELL’ESPERIENZA CANCRO
1.4 - COSA PUO’ FARE IL COUNSELOR

2 - L’ESPERIENZA DEL DOLORE

2.1 - CHE COS’E’ IL DOLORE?
2.2 - L’UNIVERSALITA’ DEL DOLORE
2.3 - LE MASCHERE DEL DOLORE
2.4 - ACCANTO FINO ALL’ULTIMO ISTANTE


PARTE SECONDA : IL COUNSELING, UNA RELAZIONE CHE AIUTA


3 - CONOSCERO’ UN RUMORE DI PASSI

3.1 - UNA TEORIA CHE SOSTENGA
3.2 - VICTOR FRANKL, UN INTERVENTO PER RITROVARE IL SENSO
3.3 - LA FORZA DELLE EMOZIONI: LA PSICONEUROIMMUNOLOGIA
3.4 - PERCHE’ IL DOLORE LASCI SPAZIO ALLA GIOIA


CONCLUSIONI



INTRODUZIONE



Questa tesi vuole essere una raccolta di appunti per riflettere sull’Arte della relazione d’aiuto in un contesto di malattia e sofferenza. Una malattia atroce come il cancro e di una sofferenza acuta quale quella che può provare la persona con una diagnosi di tumore. Riflessioni su tutti coloro che abitano, con chi soffre, lo spazio del soffrire. Considerazioni e pensieri che prendono spunto dalle conoscenze acquisite in questi tre anni nella scuola di Counseling, dalle ricerche effettuate sull’argomento e dalle mie esperienze personali.

Nella prima parte vorrei fare una riflessione su cos’è il cancro, che significato assume questa diagnosi per quelle persone che all’improvviso si trovano coinvolte in questa malattia e alle quali sorgono spontanee domande esistenziali del tipo: potrò ritornare a lavorare? che ne sarà della mia famiglia? Perché proprio a me?
La diagnosi di una patologia oncologica si associa da sempre, per la maggior parte dei pazienti, a sentimenti di paura e ad intensi turbamenti emotivi.
Il coinvolgimento in un sistema di cura complesso e generalmente frammentario, la necessità di sottoporsi a periodici controlli e a terapie, le fasi di remissione e di ripresa di malattia, l’aggravamento della situazione clinica con l’esacerbazione di sintomi fisici talvolta solo in parte controllabili, costituiscono momenti carichi di implicazioni e di significati nell’esperienza di chi incontra sulla propria traiettoria esistenziale l’evento cancro.

La diagnosi di tumore non costituisce, d’altra parte, una vicenda esclusivamente personale. Essa riguarda infatti la totalità dei sistemi sociali in cui l’individuo è coinvolto ed in prima istanza la sua famiglia, nell’ambito della quale avviene una globale riorganizzazione ed una ridistribuzione dei ruoli finalizzata a favorire l’adattamento dell’intero sistema alla nuova situazione. Così può avvenire che la persona fisicamente malata venga a perdere il suo ruolo di soggetto autonomo e indipendente e che gli altri familiari si sentano responsabili della sua salute e della sua vita, convogliando gran parte delle proprie risorse pratiche ed emotive per affrontare la nuova realtà.
E poi c’è la sofferenza.
È un argomento, questo, di solito poco trattato; eppure nella formazione di ogni singolo uomo si dovrebbe lasciare un “piccolo” spazio perché sulla sofferenza possa apprenderne … nei libri sulla sofferenza si sorvola sulla necessità di una preparazione personale ad affrontare le proprie difficoltà. Un tempo la cultura abituava in qualche modo alla sopportazione (talvolta fatalistica) delle difficoltà della vita, ma questa predisposizione sembra scomparsa dalla cultura contemporanea. Siamo allergici ad ogni sofferenza, ad essa, dunque, non sembra servire prepararsi, neppure pensarci; per fortuna, soffrire è sempre qualcosa che riguarda solo gli altri, come la morte! Il dolore è per istinto psicologicamente negativo, e non tanto perché inconsciamente vissuto come castigo (quando anche solo come castigo pedagogico), talvolta piuttosto perché il nostro soffrire è consapevolezza di soffrire. Il nostro dolore è coscienza del dolore, è unione di sofferenza e coscienza; altrimenti, se non ne fossimo coscienti, non ci riguarderebbe, non sarebbe nostro.
Per questo abbiamo dolore di essere nel dolore, proprio perché la nostra consapevolezza lo configura e lo valuta in rapporto alla nostra vita. Rifiutarne l’esistenza e solo razionalizzarne l’inspiegabilità non servono ad evitarlo.
Piuttosto domandiamoci: come riuscire ad essere attori, cioè gestire l’orientamento del nostro comportamento, di fronte alla realtà della sofferenza? Perché dello stesso dolore noi possiamo farne una pietra, o un’ala per volare più in alto. La sofferenza, quindi, non va solo alleviata, ma principalmente orientata. Il malato non è la malattia; la sofferenza va vissuta e non solo subita; e tutto ciò per evitare che la croce, senza palo verticale, resti solo un’asta senza senso.

Per tutte queste sue caratteristiche e per l’iter ogni volta unico ed irripetibile che scandisce, ogni malattia oncologica porta con sé il rischio di contribuire allo sviluppo di alcuni momenti di crisi nell’individuo colpito e nei suoi familiari, momenti nei quali le strategie messe a punto ed utilizzate solitamente per affrontare e risolvere i problemi non si rivelano più efficaci.

Nella seconda parte vedremo come, partendo dalle considerazioni di Victor Frankl che definisce lo specifico dell'uomo come l'essere che sempre si decide, possiamo aiutare un malato a scoprire come ancora può vivere, possiamo permettergli di vedere che può essere “soggetto” d’azione a sua volta - e per quello che può, e con qualsiasi mezzo ed occasione - lo aiuteremo a svolgere con dignità il proprio compito.
In questo senso il supporto del counselor può offrire al paziente la possibilità di condividere e rielaborare con un interlocutore esterno all’ambito amicale e familiare, formato all’ascolto ed alla comunicazione, i sentimenti e le emozioni che si alternano nei cosiddetti momenti critici, sperimentando l’esperienza profonda di una relazione terapeutica definita dalla volontà dell’individuo malato di aprirsi sulla propria sofferenza perché qualcuno la contenga e lo aiuti nel difficile processo di attribuirvi un senso, e dalla disponibilità del curante ad immedesimarsi ogni volta nella realtà di quest’ultimo, senza tuttavia arrivare a provare le sue stesse emozioni ed i suoi stessi sentimenti.
Il trattato è correlato di mini racconti tratti liberamente da esperienze personali che ho vissuto in passato, legate a un evento tragico di un momento della mia vita: la morte per cancro di mio marito. La stesura di questa tesi mi ha permesso di rielaborare quei vissuti e riattraversarli con una consapevolezza diversa, acquisita attraverso il lavoro personale e gli studi intrapresi in questi anni. Ho capito solo adesso e fino in fondo, quanto tutto il personale medico e paramedico dell’ospedale dove era ricoverato mio marito, mi abbia aiutato e mi abbia accolto insieme alla mia piccola famiglia (io, mio marito e mia figlia di 2 anni), silenziosamente e con discrezione, dandomi la sensazione di non sentirmi mai sola anche nel momento di dolore intenso A loro va il mio più grande ringraziamento, con il proposito di poter essere come loro, e di poter essere in grado, a mia volta di aiutare chi, malauguratamente si trovi in questa situazione così dolorosa.

CONTINUA.................

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