Aveva 13 anni. Prendeva l’autobus
al capolinea, a 500 mt da casa. Percorreva quel tratto di strada senza tanto
entusiasmo, già stanca prima di iniziare a camminare con passo strascicato,
guardando i sassolini per terra. Arrivava quasi sempre cinque minuti prima
della partenza. Si sedeva sul sedile di legno freddo e duro e aspettava.
L’autista saliva dopo poco e le rivolgeva un sorriso benevolo, come di
complicità. Li conosceva di vista tutti gli autisti e si era instaurata una
silenziosa strana amicizia. L’uomo alla guida metteva in moto con un leggero
sussulto e poi lentamente s’immetteva nel traffico caotico della città. Le case
che scorrevano incolori alla sua vista e l’andirivieni della gente le faceva
girare la testa.
Assorta nei suoi pensieri, guardava distrattamente la strada
fuori. Viaggiava per tutto il tragitto fino all’altro capolinea. Dopo un’ora scendeva con la nausea e tutto il
mondo che le girava intorno. Percorreva ancora circa 1 km a piedi lungo una via
tortuosa e in salita: ora costeggiava la casa disabitata che si diceva vi
abitassero i fantasmi, ora passava sull’orlo di una grande scalinata che
scendeva scoscesa fino ad una grande e luminosa piazza, ora sontuose ville
s’innalzavano davanti ai suoi grandi occhi sempre sgranati sul mondo. Infine
arrivava di fronte all’edificio imponente e austero dove “abitavano le suore”.
Suonava il campanello ancora con il
fiatone. Chi apriva il grande portone era
sempre una suora, piccola e gobba, con un ghigno fisso sul viso: non era colpa
sua se era così brutta, ma alla bambina metteva soggezione e paura. La ragazzina
non osava dire più del necessario e anche quello, lo sussurrava appena, cosa
che irritava sempre la religiosa, la quale rispondeva con un grugnito di
disapprovazione ” chi sei? Cosa vuoi? Cosa dici? Sei Mirelle? ….una parente? ……,Entra!
“Questa ragazzina scheletrica, impacciata
e goffa mi fa perdere sempre un sacco di tempo!” borbottava tra se la religiosa.
Mirelle entrava nell’atrio che
odorava di pulito e incenso. Tutti marmi lucenti e madonne piangenti che la
guardavano dall’alto con l’aria afflitta. Sembrava che il dolore e la pena abitassero
quel luogo. Aspettava, timorosa e immobile seduta su una sedia di pelle, mentre
il cerbero vestito da suora andava a chiamare sua sorella.
La sorellina più piccola di 2
anni era in quel collegio ormai da tempo
e Mirelle si chiedeva, ogni volta in quel momento, perché dovesse andare lei a prenderla e
portarla a casa per il fine settimana e non la mamma.
La mamma! eh già, la mamma!
sempre indaffarata con bimbi
piccoli mocciolosi attaccati alle gonne: I fratellini, che Mirelle doveva
accudire e cambiare. Pannolini sporchi da lavare. Attenta a che non si facciano
del male.
Come quella volta che la mamma
aveva detto “controllate vostro fratello che dorme, io vengo subito, vado dal
fornaio!”. Ma giocando con sua sorella, non si era accorta che Andrea (8 mesi)
piangeva dentro la sua carrozzina, dove dormiva anche la notte, e agitandosi
era caduto per terra. Che paura quella volta! Corri dalla vicina di casa, la
quale, poverina, tutta spaventata anch’essa non potè far altro che prendere in
braccio l’infante e cercare di calmarlo e proprio in quel mentre è arrivata la
mamma che urlando “cosa gli avete fatto,
disgraziate!” prese subito in braccio il figlioletto guardando ansiosa cosa
fosse successo. Noi via a scappare sotto
il letto.
Stava ancora pensando al suo
fratellino urlante, quando sull’uscio apparve sua sorella Elisa. Sempre con il
broncio come se la vita le avesse tolto qualcosa di prepotenza. Con i suoi
capelli rosso fuoco reticenti al pettine.
Guardava Mirelle in cagnesco e non diceva neanche una sillaba. Labbra
serrate e occhi furibondi, prendeva la mano della sorella più grande e con
forza la spingeva verso l’uscita.
Senza neanche salutare la suora
scorbutica, varcavano l’uscio e si incamminavano lungo la via del ritorno a
casa. A metà strada spuntava un tiepido sorriso sulle labbra di Elisa e con
fare un po’ canzonatorio chiedeva alla sorella maggiore “ dai entriamo dentro
la casa dei fantasmi!”
Mirelle la guardò un istante e
poi le chiese “Come ti trovi là dentro? Intendo in collegio!”. L’ombra buia di
prima tornò a rannuvolare l’espressione di Elisa che per tutta risposta
bofonchiò “ non ne voglio parlare!”
Percorsero un altro tratto di
strada in silenzio, ognuna assorta nei propri pensieri.
“guarda che anch’io sono stata in
collegio, proprio come te, e anche più lontano di te!” Disse a un tratto Mirelle.
“Non m’importa un fico secco di
quello che hai fatto tu!”
Poi ripensandoci aggiunse “ anch’io
sono stata nel tuo stesso collegio a Formia e tu non mi difendevi per niente
dai grandi che mi facevano i dispetti!”
“e come avrei potuto! Io stavo dall’altra
parte del collegio. Ti ricordi quanto era grande: con quel dormitorio immenso
pieno di finestre che davano su un mare che non riuscivo mai a vedere perché
ero troppo bassa? E poi ero triste quanto te, e anche se sono più grande, gli
altri facevano paura anche a me!” rispose Mirelle con la fronte aggrottata dal
ricordo.
Percorsero ancora un tratto di
strada in silenzio. Il suolo acciottolato era in pendenza. Le sontuose ville ai
lati sembravano scrutassero le bambine
con le loro finestre occhiute.
“Ma tu pensi che mamma e papà non
ci voglino bene?” domandò ad un tratto con un’espressione triste Elisa.
“non lo so! Penso solo che forse
abbiamo fatto qualcosa che non va, altrimenti perché ci avrebbero messo in
quella specie di galera?” rispose Mirelle.
“lo sai oggi ho raccontato a una
ragazzina del collegio che noi siamo poveri e che non abbiamo sempre da
mangiare. Io pensavo che così mi avrebbe voluto un po’ di bene e che forse
avrebbe provato un po’ di pena per me e invece ha cominciato a prendermi in
giro e a chiamare tutte le altre bambine urlando a squarciagola che ero una stracciona
e che mia mamma viveva per la strada e tante altre cose bruttissime sulla
nostra famiglia. Io ho cominciato a piangere e mi hanno preso in giro ancora di
più.” Mentre Elisa pronunciava quelle parole i suoi pugni si serravano facendo
diventare bianche le nocche. “ li odio, li odio tutti quelli là dentro, suore
comprese” aggiunse.
“ un giorno o l’altro li
picchierò tutti, così impareranno a prendermi in giro!”
E così dicendo diede un calcio ad
un sasso che rotolò giù per un grande scalone che terminava in una splendida
piazza di Roma.
continua......