mi piace leggere, viaggiare e il mare in tutte le stagioni. credo fermamente in tutte le ragioni dell'essere, nel suo manifestarsi e nella profonda bontà dell'animo umano.

martedì 20 novembre 2012

LETTERA A MIO PADRE

mio padre

Roma 24 giugno 2011

Tanti auguri a te, tanti auguri a te....

Il motivetto rimbomba nella mia testa, ma non so da quale angolo sia uscito. E' piuttosto infantile come le immagini che rivedo e che non mi appartengono.
Bambini emozionati che attendono il via per soffiare a pieni polmoni sulle candeline della torta per poi tuffarsi sui regali.
Ma oggi a compiere gli anni non c'e' nessun bambino. Oggi è il tuo compleanno papà.

Sono venuta alla tua festa, non sarei voluta venire, ma sono qui. tanti litigi, tanto astio, ma sono qui.
una sfida a difendermi da tutte le emozioni che mi assalgono in queste ricorrenze, non è facile trattenere le manciate di giorni inutili che mi hai regalato nei giorni della mia infanzia. Vorrei tanto scaricarteli addosso, ma forse non servirebbe a niente.
Per cui ho deciso di stare qui, ad affrontare il tuo sguardo e a capire cosa sento adesso per te.

Perché nonostante sia passato molto tempo, le botte che mi davi con indifferenza, le sento ancora adesso che sono donna. Le tue frustrazioni scaricate sui figli, gli anni del collegio e quel mio sentirmi perennemente in colpa per essere nata femmina non mi hanno del tutto abbandonato.

Eppure eri tu che eri eternamente disoccupato e stavi sempre a casa, ma quando avevamo bisogno di te, paradossalmente non c'eri mai.
Anche se a volte l'assenza era meglio della presenza. Il vuoto lo puoi riempire con qualcosa, la tua presenza non poteva essere eliminata e volte era insopportabile.
Amavi farti odiare.
Eri impareggiabile quando mi facevi assistere, muta nell’angoscia, alle percosse e ai pugni che davi a mia madre, impotente di fronte a te, come tutti noi spettatori di quell'assurda violenza.
Gli sguardi che ci scambiavamo tra di noi, le occhiate che davo a mia madre erano fatte di una silenziosa solidarietà.

Solo sentirti respirare era terrore.

Ricordo ancora quella volta che con un manrovescio mi hai rotto il setto nasale: quanto sangue mi hai fatto versare solo perché quella volta eri di cattivo umore e ti dava fastidio che non mangiassi la minestra. Con la faccia riversa sul piatto, muta ascoltavo la tua ira. Hai rotto il silenzio ribaltando la tavola e poi mi hai colpito. Il sangue gocciolava sul pavimento, e la testa mi girava forte, mentre la paura mi divorava lo stomaco. E tu urlavi, urlavi, urlavi....
Ho provato negli anni a pensare a come ti potevi essere sentito quella volta, troppo simile a tante altre volte, ma tu hai mai pensato a come mi sono sentita io? Pensa che nel mio mondo bambino ho provato persino a giustificare il tuo cattivo umore. I tuoi scatti d'ira.
Ma tu eri sempre di cattivo umore.

Lo eri di mattina, perché volevi dormire
Lo eri di pomeriggio perché noi, i tuoi sette figli, non riuscivamo a stare in perfetto silenzio.
Lo eri alla sera, dove dopo una giornata inutile la tua ira doveva trovare sfogo, dovevi dare un senso alla tua nullità.
Su di noi o sulla tua sposa, come la chiami ancora adesso. Un oggetto dei tuoi desideri e delle tue violenze, incapace di ribellarsi al tuo volere, ha messo alla luce ben sette figli.

Siamo ancora tutti qui. Non tutti! perchè ancora oggi astio e rancore non abbandona gli animi.
Anche loro si portano dietro i segni della tua educazione, ma sono tutti ancora in piedi, anche se la vita per loro, non è facile.
Sono li intorno e chissà, forse riescono anche a provare qualcosa, un sentimento che si avvicina al bene.
Ora sembra più facile. Ora che sei un vecchio leone sdentato e il cancro ti sta mangiando da dentro è decisamente più semplice. Il dolore ti piegherà in due prima o poi e le gambe non ti sosterranno più, sarà allora che allungherai la mano non per colpire, ma per chiedere aiuto.
Loro sono li e chissà magari ci sarò anch'io.

La pietà spesso prende il sopravvento sul passato e questo potrebbe essere con tutta probabilità il tuo ultimo compleanno e chissà, se quando avverrà il momento del distacco eterno, ti porterai via anche tutte le sofferenze che mi hai inflitto.
Chissà se mi sentirò più leggera, se avrò Natali e compleanni diversi, senza che il passato inquini il presente e renda pauroso il futuro.

Spesso osservo i miei fratelli e le loro vite. Il vittimismo di alcuni di loro mi ricorda il tuo. Gli errori che spesso hanno fatto sono frutto dei tuoi insegnamenti. Una spirale da cui sembra non si riesca mai a uscire.
Le mie sorelle sentono il peso di essere femmine. Quante volte ci siamo sentiti persi in questa vita che è apparsa molte volte come un immenso labirinto.

Ma sono qui i tuoi figli, ma hanno tutti fiato e vita, hanno giorni da spendere, speranze da consumare e cicatrici da cancellare.
Hanno ancora la forza di vivere un giorno come questo, di andare nel negozio di sotto a prendere una torta e stappare una bottiglia di vino.
Il rituale della vita a volte mi sorprende, mi stordisce.
E tu sei li al centro, e mi chiedo se capisci quello che stai vivendo e se sai che questi sono i tuoi ultimi giorni.

Tu non hai più niente e mi chiedo se quando posi la testa sul cuscino, adesso che stai male, non pensi alle macerie della tua vita.
Mi chiedo se prima di andartene avrai il coraggio di chiedere scusa a qualcuno di noi.
Se avrai il coraggio di comportarti da uomo.
Se ambisci a qualcosa di simile al perdono, vorrebbe dire che per una volta almeno ti sei sentito in colpa.
Ignorante irresponsabile, è questo che ho pensato di te papà e lo penso ancora.

E anche quando te ne sarai andato, le cose qui non andranno come vorrei. Non c'è mai un lieto fine scontato, in questa trappola di vita che ci hai regalato.

Però il tempo qualcosa mi ha insegnato.
So tutto quello che non si deve fare per vivere in modo dignitoso.

La bambina che picchiavi non c'è più.
Ora sono donna.
Ho un po' meno paura e più coraggio.




OTTOBRE  2012....



 E' passato più di un anno dalla tua morte e sembra che se prendo il telefono e chiamo casa, tu possa ancora rispondere.
Le cose si sono messe male dopo la tua morte. I tuoi figli non hanno fatto pace come hai implorato  negli ultimi giorni della tua vita!.
Anzi il divario si è allargato sempre più. Le incomprensioni, i rancori passati hanno preso spessore e hanno formato una barriera tangibile che separa i fratelli dagli altri fratelli e le sorelle dalle altre sorelle. Me ne dispiace molto!
Ricordo uno dei nostri ultimi giorni passati insieme. “loro”, nonostante tu li volessi rappacificati , continuavano a litigare. Io ti ho accompagnato a letto, ti sei steso e nel silenzio della stanza guardandomi negli occhi, per la prima volta senza rimprovero o accusa, mi dicesti solo poche parole :” sai, io lo so che in questi ultimi anni tu sei stata troppo sola!” io ho ascoltato con molto stupore le tue parole e dopo è sceso un silenzio ristoratore, come se un arcobaleno fosse spuntato nel cielo sopra di noi. Siamo rimasti così! Con gli occhi chiusi e sentire ancora il balsamico effetto delle le tue parole, mentre nell'altra stanza si sentivano le urla furiose di chi stava litigando, incurante di tutto. Incurante del fatto che di sotto, nel cortile, c’era un fratello a cui non era permesso entrare in casa per stare al capezzale del padre morente! Una figlia che non comprendendo cosa stesse accadendo, aveva visto bene di starne fuori. Li ho trovati lì ,quando sono scesa seduti sulla panchina tutti e due, con lo stupore negli occhi. Ancora a chiedersi, l’uno perché non potesse stare accanto al padre in quel momento, l’altra cosa significasse tutto quello e cosa stesse lì a fare. Come ci sfuggono gli attimi importanti della nostra vita!
Gli ultimi giorni in ospedale, poi, dove gravava questo senso di ineluttabilità, sembrava che i rancori fossero messi da parte. Tu! Fratello consentisti all’altro fratello di vedere suo padre! Vi siete anche abbracciati in un momento senza tempo in cui veramente sembrava vi voleste bene. La morte che aleggiava zittiva le menti. Eravamo tutti di nuovo intorno a te! Ci siamo raccontati un po’, nel silenzio delle corsie, ci siamo confrontati anche senza parole, cercando negli occhi dell’altro una parola gentile, cercando con molta fatica di avere noi una parola gentile per l’altro. Questa era la situazione migliore per dirsi tante cose! Abbiamo parlato di morte! Della morte di un bimbo appena nato. Di un uomo che aspettava di vedere crescere sua figlia piccola ma che il fato ha scelto di far morire. Dell’amico che fino a ieri eri lì a ridere con te e un attimo dopo non c’era più.
La tensione degli ultimi giorni ha messo in secondo piano le faccende di ogni giorno che sembravano banali di fronte alla morte. Per un attimo, il velo del tempo e delle dimensioni vita-morte si è squarciato. Si è intravisto il vero significato della vita, delle nostre azioni, di quanto fosse infruttuoso litigare. Siamo stati con te tutta la notte. Ti abbiamo visto respirare con fatica. Abbiamo pregato per te tutta la notte. Si! sorella e fratello! Abbiamo pregato! Non abbiamo fatto nessuna magia! Ma se vuoi credere, anche la preghiera è magia!
Il mattino dopo, ancora con gli occhi rossi per la fatica e la tensione, ti abbiamo sentito pronunciare queste parole papà: da oggi in poi sarò un padre migliore….da oggi in poi….
Penso che il passato non si cancelli. Ma si può perdonare! Il perdono rende le persone migliori!
Per un po’ è stato come  tutti vorremmo che fosse e cioè vicini, ancora riuniti come una volta intorno a una tavola a ridere e scherzare anche dei nostri difetti. Non è durato molto.
Quello che è accaduto dopo, le tue visioni, le tue angosce….sono paura. La paura che coglie tutti nel momento della morte e che gli altri non vogliono vedere perché dovrebbero vedere la loro morte.
Ognuno vuole trovare un capro espiatorio all’evento morte. È colpa del medico o della medicina o dell’infermiera o di chissà chi. In ultima istanza, di Dio.
E allora l’evento morte si è tinta dei colori delle nostre emozioni. Adesso siamo tutti arroccati nelle credenze e nelle paure che ci separano.
Io non serbo più rancore per te papà! Hai riscattato tutta la tua e la mia vita nel momento in cui hai voluto veramente essere un padre migliore.
Giovanna Di Martino
p.s. ho voluto unire queste due lettere, scritte in momenti differenti della mia vita, per un senso di continuità e per dire prima di tutto a me stessa che la vita è un flusso. Quello che crediamo immutabile può cambiare. gli altri possono cambiare. IO posso cambiare e posso trasformare il dolore per diventare migliore.

mercoledì 6 giugno 2012

ricordi di una bambina musona




Aveva 13 anni. Prendeva l’autobus al capolinea, a 500 mt da casa. Percorreva quel tratto di strada senza tanto entusiasmo, già stanca prima di iniziare a camminare con passo strascicato, guardando i sassolini per terra. Arrivava quasi sempre cinque minuti prima della partenza. Si sedeva sul sedile di legno freddo e duro e aspettava. L’autista saliva dopo poco e le rivolgeva un sorriso benevolo, come di complicità. Li conosceva di vista tutti gli autisti e si era instaurata una silenziosa strana amicizia. L’uomo alla guida metteva in moto con un leggero sussulto e poi lentamente s’immetteva nel traffico caotico della città. Le case che scorrevano incolori alla sua vista e l’andirivieni della gente le faceva girare la testa. Assorta nei suoi pensieri, guardava distrattamente la strada fuori. Viaggiava per tutto il tragitto fino all’altro capolinea.  Dopo un’ora scendeva con la nausea e tutto il mondo che le girava intorno. Percorreva ancora circa 1 km a piedi lungo una via tortuosa e in salita: ora costeggiava la casa disabitata che si diceva vi abitassero i fantasmi, ora passava sull’orlo di una grande scalinata che scendeva scoscesa fino ad una grande e luminosa piazza, ora sontuose ville s’innalzavano davanti ai suoi grandi occhi sempre sgranati sul mondo. Infine arrivava di fronte all’edificio imponente e austero dove “abitavano le suore”. Suonava il campanello  ancora con il fiatone. Chi apriva il grande portone  era sempre una suora, piccola e gobba, con un ghigno fisso sul viso: non era colpa sua se era così brutta, ma alla bambina metteva soggezione e paura. La ragazzina non osava dire più del necessario e anche quello, lo sussurrava appena, cosa che irritava sempre la religiosa, la quale rispondeva con un grugnito di disapprovazione ” chi sei? Cosa vuoi? Cosa dici? Sei Mirelle? ….una parente? ……,Entra!
“Questa ragazzina scheletrica, impacciata e goffa mi fa perdere sempre un sacco di tempo!” borbottava tra se la religiosa.
Mirelle entrava nell’atrio che odorava di pulito e incenso. Tutti marmi lucenti e madonne piangenti che la guardavano dall’alto con l’aria afflitta. Sembrava che il dolore e la pena abitassero quel luogo. Aspettava, timorosa e immobile seduta su una sedia di pelle, mentre il cerbero vestito da suora andava a chiamare sua sorella.
La sorellina più piccola di 2 anni era  in quel collegio ormai da tempo e Mirelle si chiedeva, ogni volta in quel momento,  perché dovesse andare lei a prenderla e portarla a casa per il fine settimana e non la mamma.
La mamma! eh già, la mamma!
sempre indaffarata con bimbi piccoli mocciolosi attaccati alle gonne: I fratellini, che Mirelle doveva accudire e cambiare. Pannolini sporchi da lavare. Attenta a che non si facciano del male.
Come quella volta che la mamma aveva detto “controllate vostro fratello che dorme, io vengo subito, vado dal fornaio!”. Ma giocando con sua sorella, non si era accorta che Andrea (8 mesi) piangeva dentro la sua carrozzina, dove dormiva anche la notte, e agitandosi era caduto per terra. Che paura quella volta! Corri dalla vicina di casa, la quale, poverina, tutta spaventata anch’essa non potè far altro che prendere in braccio l’infante e cercare di calmarlo e proprio in quel mentre è arrivata la mamma che urlando  “cosa gli avete fatto, disgraziate!” prese subito in braccio il figlioletto guardando ansiosa cosa fosse successo.  Noi via a scappare sotto il letto.
Stava ancora pensando al suo fratellino urlante, quando sull’uscio apparve sua sorella Elisa. Sempre con il broncio come se la vita le avesse tolto qualcosa di prepotenza. Con i suoi capelli rosso fuoco reticenti al pettine.  Guardava Mirelle in cagnesco e non diceva neanche una sillaba. Labbra serrate e occhi furibondi, prendeva la mano della sorella più grande e con forza la spingeva verso l’uscita.
Senza neanche salutare la suora scorbutica, varcavano l’uscio e si incamminavano lungo la via del ritorno a casa. A metà strada spuntava un tiepido sorriso sulle labbra di Elisa e con fare un po’ canzonatorio chiedeva alla sorella maggiore “ dai entriamo dentro la casa dei fantasmi!”
Mirelle la guardò un istante e poi le chiese “Come ti trovi là dentro? Intendo in collegio!”. L’ombra buia di prima tornò a rannuvolare l’espressione di Elisa che per tutta risposta bofonchiò “ non ne voglio parlare!”
Percorsero un altro tratto di strada in silenzio, ognuna assorta nei propri pensieri.
“guarda che anch’io sono stata in collegio, proprio come te, e anche più lontano di te!”  Disse a un tratto Mirelle.
“Non m’importa un fico secco di quello che hai fatto tu!”
Poi ripensandoci aggiunse “ anch’io sono stata nel tuo stesso collegio a Formia e tu non mi difendevi per niente dai grandi che mi facevano i dispetti!”
“e come avrei potuto! Io stavo dall’altra parte del collegio. Ti ricordi quanto era grande: con quel dormitorio immenso pieno di finestre che davano su un mare che non riuscivo mai a vedere perché ero troppo bassa? E poi ero triste quanto te, e anche se sono più grande, gli altri facevano paura anche a me!” rispose Mirelle con la fronte aggrottata dal ricordo.
Percorsero ancora un tratto di strada in silenzio. Il suolo acciottolato era in pendenza. Le sontuose ville ai lati  sembravano scrutassero le bambine con le loro finestre occhiute.
“Ma tu pensi che mamma e papà non ci voglino bene?” domandò ad un tratto con un’espressione triste Elisa.
“non lo so! Penso solo che forse abbiamo fatto qualcosa che non va, altrimenti perché ci avrebbero messo in quella specie di galera?” rispose Mirelle.
“lo sai oggi ho raccontato a una ragazzina del collegio che noi siamo poveri e che non abbiamo sempre da mangiare. Io pensavo che così mi avrebbe voluto un po’ di bene e che forse avrebbe provato un po’ di pena per me e invece ha cominciato a prendermi in giro e a chiamare tutte le altre bambine urlando a squarciagola che ero una stracciona e che mia mamma viveva per la strada e tante altre cose bruttissime sulla nostra famiglia. Io ho cominciato a piangere e mi hanno preso in giro ancora di più.” Mentre Elisa pronunciava quelle parole i suoi pugni si serravano facendo diventare bianche le nocche. “ li odio, li odio tutti quelli là dentro, suore comprese” aggiunse.
“ un giorno o l’altro li picchierò tutti, così impareranno a prendermi in giro!”
E così dicendo diede un calcio ad un sasso che rotolò giù per un grande scalone che terminava in una splendida piazza di Roma.
continua......

martedì 5 giugno 2012

LETTERA A MIO PADRE (il seguito)



Te ne sei andato!
E nonostante sia passato quasi un anno, sembra che se prendo il telefono e chiamo casa, tu possa rispondere.
Le cose si sono messe male dopo la tua morte. I tuoi figli non hanno fatto pace come hai implorato  negli ultimi giorni della tua vita!.
Anzi il divario si è allargato sempre più. Le incomprensioni, i rancori passati hanno preso spessore e hanno formato una barriera tangibile che separa i fratelli dagli altri fratelli e le sorelle dalle altre sorelle. Me ne dispiace molto!
Ricordo uno dei nostri ultimi giorni passati insieme. “loro”, nonostante tu li volessi rappacificati , continuavano a litigare. Io ti ho accompagnato a letto, ti sei steso e nel silenzio della stanza guardandomi negli occhi, per la prima volta senza rimprovero o accusa, mi dicesti solo poche parole :” sai, io lo so che in questi ultimi anni tu sei stata troppo sola!” io ho ascoltato con molto stupore le tue parole e dopo è sceso un silenzio ristoratore, come se un arcobaleno fosse spuntato nel cielo sopra di noi. Siamo rimasti così! Con gli occhi chiusi e sentire ancora il balsamico effetto delle le tue parole, mentre nell'altra stanza si sentivano le urla furiose di chi stava litigando, incurante di tutto. Incurante del fatto che di sotto, nel cortile, c’era un fratello a cui non era permesso entrare in casa per stare al capezzale del padre morente! Una figlia che non comprendendo cosa stesse accadendo, aveva visto bene di starne fuori. Li ho trovati lì ,quando sono scesa seduti sulla panchina tutti e due, con lo stupore negli occhi. Ancora a chiedersi, l’uno perché non potesse stare accanto al padre in quel momento, l’altra cosa significasse tutto quello e cosa stesse lì a fare. Come ci sfuggono gli attimi importanti della nostra vita!
Gli ultimi giorni in ospedale, poi, dove gravava questo senso di ineluttabilità, sembrava che i rancori fossero messi da parte. Tu! Fratello consentisti all’altro fratello di vedere suo padre! Vi siete anche abbracciati in un momento senza tempo in cui veramente sembrava vi voleste bene. La morte che aleggiava zittiva le menti. Eravamo tutti di nuovo intorno a te! Ci siamo raccontati un po’, nel silenzio delle corsie, ci siamo confrontati anche senza parole, cercando negli occhi dell’altro una parola gentile, cercando con molta fatica di avere noi una parola gentile per l’altro. Questa era la situazione migliore per dirsi tante cose! Abbiamo parlato di morte! Della morte di un bimbo appena nato. Di un uomo che aspettava di vedere crescere sua figlia piccola ma che il fato ha scelto di far morire. Dell’amico che fino a ieri eri lì a ridere con te e un attimo dopo non c’era più.
La tensione degli ultimi giorni ha messo in secondo piano le faccende di ogni giorno che sembravano banali di fronte alla morte. Per un attimo, il velo del tempo e delle dimensioni vita-morte si è squarciato. Si è intravisto il vero significato della vita, delle nostre azioni, di quanto fosse infruttuoso litigare. Siamo stati con te tutta la notte. Ti abbiamo visto respirare con fatica. Abbiamo pregato per te tutta la notte. Si! sorella e fratello! Abbiamo pregato! Non abbiamo fatto nessuna magia! Ma se vuoi credere, anche la preghiera è magia!
Il mattino dopo, ancora con gli occhi rossi per la fatica e la tensione, ti abbiamo sentito pronunciare queste parole papà: da oggi in poi sarò un padre migliore….da oggi in poi….
Penso che il passato non si cancelli. Ma si può perdonare! Il perdono rende le persone migliori!
Per un po’ è stato come  tutti vorremmo che fosse e cioè vicini, ancora riuniti come una volta intorno a una tavola a ridere e scherzare anche dei nostri difetti. Non è durato molto.
Quello che è accaduto dopo, le tue visioni, le tue angosce….sono paura. La paura che coglie tutti nel momento della morte e che gli altri non vogliono vedere perché dovrebbero vedere la loro morte.
Ognuno vuole trovare un capro espiatorio all’evento morte. È colpa del medico o della medicina o dell’infermiera o di chissà chi. In ultima istanza, di Dio.
E allora l’evento morte si è tinta dei colori delle nostre emozioni. Adesso siamo tutti arroccati nelle credenze e nelle paure che ci separano.
Io non serbo più rancore per te papà! Hai riscattato tutta la tua e la mia vita nel momento in cui hai voluto veramente essere un padre migliore.



mercoledì 2 maggio 2012

La dialettica come tecnica di argomentazione



Schopenhauer individua due modi e due vie di confutazione. I modi sono:
- ad rem, attraverso il quale mostriamo che la tesi non concorda con la natura delle cose;
- ad hominem, attraverso il quale la discordanza è individuata tra la tesi sostenuta dall’avversario ed altre affermazioni dello stesso.
Relativamente alle vie, vengono indicate la confutazione diretta, che contraddice frontalmente la tesi, e quella indiretta che attacca le sue conseguenze. Nel secondo caso, richiamandosi alla tradizione greca, ("Socrate in Ippia maggiore e altrove"), si sofferma sull’apagoge che consiste nella dimostrazione della falsità di una proposizione condotta provando la falsità delle sue conseguenze, oppure nella dimostrazione della verità di una proposizione condotta mostrando l’assurdità della tesi contraria. Un secondo tipo di confutazione indiretta è l’istanza o exemplum in contrarium che esprime una confutazione della tesi generale attraverso l’indicazione di casi compresi nella sua enunciazione per i quali essa non è valevole.
 Riportiamo sinteticamente in elenco gli stratagemmi analizzati da Schopenhauer, nella convinzione che al di là dello spirito classificatorio dell’elencazione, la lista contenga spunti interessanti per una analisi delle forme di argomentazione. (lecite e illecite), utilizzate ancora oggi nelle discussioni pubbliche e private, nei dibattiti politici e nel linguaggio dei mass media.
  • Ampliamento: è una forma di iperbole con cui estendiamo l’affermazione dell’avversario oltre le sue intenzioni, esagerandola mentre limitiamo la portata della nostra preservandola così da possibili attacchi.
  • Omonimia: consiste in una sorta di spostamento con cui dirottiamo l’affermazione su termini omonimi ma non sinonimi per estendere illegittimamente la portata della affermazione stessa che apparirà falsa.
  • Estensione: simile alle prime due, si ottiene trasformando una affermazione relativa in una affermazione universale per poi confutarla nei suoi aspetti generalizzanti.
  • Occultare le premesse di un ragionamento per evitare che l’avversario possa prevedere la conclusione, presentarle in ordine sparso e confusamente. 
  • Servirsi all’occorrenza di premesse false, nel caso l’avversario non ammetta quelle vere, argomentandole secondo il modo di pensare dell’interlocutore. 
  • Ricorrere ad una petitio principii occulta, sofisma che prende come presupposto implicito la stessa tesi che si vuole dimostrare. 
  • Domandare in una sola volta molte cose in modo da occultare ciò che in realtà si vuole che venga ammesso, ed esporre rapidamente per nascondere eventuali lacune nell’argomentazione. 
  • Suscitare l’ira dell’avversario, tormentandolo, per impedire che sia in grado di giudicare rettamente. 
  • Porre le domande con spostamenti di ogni genere in modo che l’avversario non capisca dove si voglia andare a parare. 
  • Sottoporre all’avversario due tesi opposte in modo che egli non si accorga di quale si vuole che lui affermi. 
  • Se facciamo una induzione ed otteniamo l’assenso dell’avversario su singoli casi, evitiamo di sottoporgli la generalizzazione ma introduciamola come già stabilita e concessa. 
  • Nel caso il discorso verta su un concetto che occorre definire, introdurre nella definizione ciò che si vuole provare, così da derivarlo con un semplice giudizio analitico. 
  • Indirizzare l’avversario verso l’accoglimento di una tesi, presentandogli quella opposta in maniera paradossale, in modo che la tesi da noi appoggiata risulti più probabile e sensata. 
  • Ingannare l’avversario tramite l’assunzione della non causa come causa. 
  • Condurre l’avversario ad absurdum presentando una tesi paradossale come giusta ma non del tutto evidente. 
  • Cercare, rispetto ad una affermazione dell’interlocutore, un elemento anche solo apparentemente in contraddizione con quanto ha ammesso in precedenza. (Argumenta ad hominem o ex concessis). 
  • Ricorrere al doppio significato o ad una distinzione sottile per smontare una controprova fornita dall’avversario nel corso della disputa. 
  • Avviare una mutatio controversiae interrompendo o sviando l’interlocutore da una argomentazione con cui potrebbe batterci. 
  • Generalizzare l’affermazione e poi attaccarla. 
  • Non concedere all’avversario di giungere a conclusione, poste alcune premesse, ma tirare noi la conclusione. 
  • Non evidenziare il carattere illusorio o sofistico dell’argomento fornito dall’avversario ma ricorrere ad un controargomento altrettanto sofistico e apparente. 
  • Rigettare come petitio principii una cosa che l’avversario ci chiede di ammettere, se da questa ammissione lo svolgimento della discussione dovesse svilupparsi in modo favorevole alla tesi avversa. 
  • Spingere l’interlocutore ad estendere contro la sua volontà la portata della sua affermazione, contraddicendolo e inducendolo in questo modo ad esagerare una tesi che in un ambito più limitato potrebbe essere vera. Nel caso l’avversario ricorra allo stesso stratagemma, fermarlo subito e ricondurre la nostra affermazione nei termini nei quali noi l’abbiamo posta. 
  • Ricorrere a false deduzioni e deformare i concetti derivandone tesi che non vi sono contenute, assurde o contraddittorie. 
  • Demolire una tesi universale attraverso il ricorso ad un caso particolare per il quale essa non risulti valida. 
  • Ricorrere alla retorsio argumenti utilizzando l’argomento dell’avversario contro di lui. 
  • Incalzare senza tregua con un argomento, se di fronte ad esso l’avversario si adira, supponendo di aver toccato con questa reazione il punto debole del suo ragionamento. 
  • In mancanza di argomenti, avanzare una obiezione non valida di cui però solo un esperto vede l’inconsistenza. Questo stratagemma è consigliato per persone colte che disputano davanti ad ascoltatori incolti (Argumentum ad auditores). 
  • Utilizzare la diversione quando ci si accorge di venir battuti passando ad altro argomento come se fosse pertinente alla questione affrontata. 
  • Quando non si hanno motivazioni a sostegno della propria tesi, menzionare autorità competenti in una scienza, arte o professione poco note all’avversario o, nel caso si discuta con gente comune, fare uso dell’opinione generale come di un’autorità. 
  • Dichiarare la propria incompetenza con ironia qualora non si sappia opporre nulla alle ragioni esposte dal contendente. Questo stratagemma va usato solo nel caso si sia più stimati dell’avversario presso l’uditorio. 
  • Ricondurre un’affermazione dell’avversario ad una categoria odiata ("… Per esempio: Questo è manicheismo; questo è arianesimo; questo è pelagianesimo; questo è idealismo…"). 
  • Riconoscere la possibilità che l’affermazione da confutare sia vera in teoria ma non in pratica.
  • In caso di una risposta evasiva ad una nostra domanda, incalzare l’avversario perché questo comportamento rivela una qualche debolezza. 
  • In presenza di una tesi che può essere giusta, alludere al fatto che essa è in contrasto con l’interesse comune della corporazione, setta club o altra comunità alla quale gli uditori ma non l’avversario appartengono. Questo stratagemma, scrive Schopenhauer, non appena sia praticabile, rende superflui tutti gli altri perché invece di agire sull’intelletto con ragionamenti, agisce sulla volontà con motivazioni. La forma di persuasione che ne risulta appare perfetta. 
  • Sconcertare l’avversario con sproloqui privi di senso, impressionandolo se è abituato a sentire cose che non capisce e a fare come se le capisse. 
  • Spacciare un argumentum ad hominem per uno ad rem. Sfruttare una cattiva prova fornita dall’avversario a sostegno di una tesi giusta per confutare quest’ultima. 
  • Abbandonare l’oggetto della discussione, quando ci si accorge della superiorità dell’avversario, per passare all’offesa e all’oltraggio grossolano alla persona. Questo stratagemma provoca reazioni peggiori rispetto ad un attacco avente ad oggetto la tesi dell’avversario perché ferisce la vanità dell’uomo, umiliandolo.
 Lo scritto di Schopenhauer si conclude con un riferimento all’ultimo capitolo dei Topici di Aristotele. Qui lo stagirita invita a non disputare con il primo arrivato ma solo con chi si conosce che ha intelletto sufficiente per disputare con ragioni e con equità.
 Nei Topici Aristotele aveva distinto la dialettica dalla scienza, dall’eristica e dalla retorica ed aveva indicato tre usi possibili della dialettica: 
  1. la dialettica serve ad allenarsi nella pratica dell’argomentazione;
  2. serve a ben condurre la discussione;
  3. è utile in rapporto alle scienze filosofiche.
 Nel terzo uso Aristotele sottolinea la continuità tra opinione e sapere scientifico integrando le diverse vie, quello della analitica e quello della dialettica, che conducono verso i principii di tutte le trattazioni scientifiche.
Scopenhauer, pur ignorando il terzo uso della dialettica, nella conclusione dello scritto segue Aristotele: "In ogni caso la disputa, come attrito di teste, è spesso di reciproca utilità per rettificare i propri pensieri e anche per produrre nuovi punti di vista. Ma i due contendenti devono essere pressoché pari fra loro per erudizione e intelligenza. Se uno è privo della prima, allora non capisce tutto, non è au niveau. Se gli manca la seconda, allora il rancore che ne sorge lo istigherà a cose sleali e ad astuzie, o alla villania." (pp. 66-67).
 La dialettica, dunque, non si esaurisce in una tecnica di reperimento di luoghi vincenti ma presenta un aspetto euristico che collega l’accezione d’uso presente in Schopenhauer all’antico significato filosofico del termine. Mentre nella retorica, intesa almeno tradizionalmente, i luoghi sono già dati e si devono reperire ed applicare ai singoli casi, nella dialettica è possibile scorgere un aspetto creativo che può far emergere nel corso della discussione nuovi punti di vista.

martedì 24 gennaio 2012

Il cuore intelligente


Il Giornale Online
Tra i primi moderni ricercatori sulla psicofisiologia che hanno esaminato le conversazioni tra cuore e cervello, ci sono John e Beatrice Lacey. Durante 20 anni di ricerca negli anni '60 e '70, hanno osservato che il cuore comunica col cervello in un modo che influenza significativamente come noi percepiamo e reagiamo al mondo.

Una generazione prima che i Laceys iniziassero a ricercare, Walter Cannon mostrò che i cambiamenti nelle emozioni sono accompagnati da prevedibili cambiamenti nella frequenza cardiaca, nella pressione del sangue, nella respirazione e nella digestione. Nella visione di Cannon, quando siamo "eccitati", la parte mobilizzatrice del sistema nervoso (simpatico) ci da energia per combattere o scappare, e nei momenti di calma, la parte rilassatrice del sistema nervoso (parasimpatico) ci raffredda.

In questa visione, si assume che il sistema nervoso autonomo e tutte le risposte fisiologiche si muovano in sincronia con la risposta del cervello ad un dato stimolo. Presumibilmente, i nostri sistemi interni si uniscono quando siamo eccitati e si rilassano insieme quando siamo a riposo e il cervello sarebbe a controllo dell' intero processo.

I Lacey hanno notato che questo semplice modello corrisponde solo parzialmente al vero comportamento fisiologico. Con l' evolvere della loro ricerca, hanno scoperto che il cuore sembra avere la sua logica particolare che spesso diverge dalla direzione presa dal sistema nervoso autonomo. Il cuore sembra mandare chiari messaggi al cervello ai quali non solo esso risponde, ma obbedisce.

Ancora piu' intrigante è stato osservare come questi messaggi influiscano sul comportamento di una persona. In breve, dopo questo, i neurofisiologi hanno scoperto percorsi neurali e meccanismi tramite i quali gli impulsi dal cuore al cervello possono "inibire" o "facilitare" l' attività elettrica cerebrale. Quindi nel 1974, i ricercatori francesi Gahery e Vigier, lavorando con i gatti, hanno stimolato il nervo vago (che trasporta molti dei segnali dal cuore al cervello) e hanno scoperto che la risposta elettrica del cervello veniva ridotta della metà rispetto alla norma. Riassumendo, le evidenze suggeriscono che il cuore e il sistema nervoso non seguono semplicemente le direzioni del cervello, come aveva pensato Cannon.

Neurocardiologia: il cervello nel cuore

Mentre i Laceys effettuavano le loro ricerca in psicofisiologia, un piccolo gruppo di ricercatori cardiovascolari si unirono ad un gruppo simile di neurofisiologisti per esplorare le aree di interesse comune. Questo ha rappresentato l' inizio della nuova disciplina di neurocardiologia, che ha fornito importantissime informazioni sul sistema nervoso nel cuore e su come il cervello e il cuore comunichino tra loro tramite il sistema nervoso.

Dopo lunghe ricerche, uno dei primi pionieri della neurocardiologia, il Dr. J. Andrew Armour, ha introdotto il concetto di un "cervello del cuore" funzionale nel 1991. Il suo lavoro ha rivelato che il cuore ha un sistema nervoso intrinseco complesso e abbastanza sofisticato da essere qualificato come un "piccolo cervello". L' elaborata circuiteria lo abilita ad agire indipendentemente dal cervello nel cranio, per imparare, ricordare e persino avere sensazioni. Il libro recente Neurocardiologia del Dr. Armour e del Dr. Jeffrey Ardell, fornisce una panoramica della funzione del sistema nervoso intrinseco del cuore e del ruolo dei neuroni autonomi centrali e periferici nella regolazione della funzione cardiaca. l percorsi del sistema nervoso tra il cuore e il cervello sono mostrati nella Figura 2.

Il sistema nervoso del cuore contiene circa 40.000 neuroni, detti neuriti sensori, che rilevano gli ormoni circolanti, le sostanze neurochimiche, la frequenza cardiaca e la pressione. L' informazione ormonale, chimica, della frequenza e della pressione viene tradotta in impulsi neurologici dal sistema nervoso del cuore e inviata dal cuore al cervello tramite diversi percorsi. E' sempre tramite questi percorsi nervosi che i segnali di dolore e altre sensazioni vengono inviate al cervello. Questi percorsi nervosi entrano nel cervello in un' area detta medulla. I segnali hanno un ruolo regolatorio su molti dei segnali del sistema nervoso autonomo che escono dal cervello al cuore, ai vasi sanguigni e ad altre ghiandole e organi.
Comunque, questi arrivano anche ai maggiori centri cerebrali, dove possono influenzare la percezione, le decisioni e altri processi cognitivi.

Il Dr. Armour descrive il cervello e il sistema nervoso come un sistema di processazione parallelo che consiste in gruppi neuronali separati ma interattivi sparsi nel corpo. Il cuore ha il suo sistema nervoso che opera e processa informazioni indipendentemente dal cervello e dal sistema nervoso. Questo permette al cuore trapiantato di funzionare: normalmente il cuore comunica col cervello tramite le fibre nervose che passano per il nervo vago e la colonna vertebrale. In un cuore trapiantato, queste connessioni nervose non si ricollegano per un lungo periodo di tempo, se non del tutto; comunque, il cuore trapiantato riesce a funzionare nel nuovo corpo tramite la capacità del suo stesso sistema nervoso intatto.

martedì 3 gennaio 2012

ricordi di bimbe piccole che giocano agli animaletti.
l'orto diventa un giardino incantato e i fiori dame che danzano nell'aria profumata.
le persiane sono occhi socchiusi nella penombra che scrutano e proteggono il sogno libero e allegro.
i compleanni si susseguono e tanti sembrano uno.
ciao bimbe innocenti dal cuore buono!