mi piace leggere, viaggiare e il mare in tutte le stagioni. credo fermamente in tutte le ragioni dell'essere, nel suo manifestarsi e nella profonda bontà dell'animo umano.

venerdì 28 ottobre 2011

SCUOLA DI COUNSELING FAMILIARE E DELL’ETA’ EVOLUTIVA 3° ANNO 2007-2008 - GRUPPO B TESI

LA RELAZIONE D’AIUTO IN UN CONTESTO DI MALATTIA ONCOLOGICA

GIOVANNA DI MARTINO

A Sandro, con immenso amore.





INTRODUZIONE



PARTE PRIMA : LA DIAGNOSI DI CANCRO


1 - PERCHE’ PROPRIO A ME?

1.1 - PROSPETTIVE MEDICHE E TRADIZIONI CULTURALI
1.2 - LE PAURE
1.3 - LE FASI EMOTIVE DELL’ESPERIENZA CANCRO
1.4 - COSA PUO’ FARE IL COUNSELOR

2 - L’ESPERIENZA DEL DOLORE

2.1 - CHE COS’E’ IL DOLORE?
2.2 - L’UNIVERSALITA’ DEL DOLORE
2.3 - LE MASCHERE DEL DOLORE
2.4 - ACCANTO FINO ALL’ULTIMO ISTANTE


PARTE SECONDA : IL COUNSELING, UNA RELAZIONE CHE AIUTA


3 - CONOSCERO’ UN RUMORE DI PASSI

3.1 - UNA TEORIA CHE SOSTENGA
3.2 - VICTOR FRANKL, UN INTERVENTO PER RITROVARE IL SENSO
3.3 - LA FORZA DELLE EMOZIONI: LA PSICONEUROIMMUNOLOGIA
3.4 - PERCHE’ IL DOLORE LASCI SPAZIO ALLA GIOIA


CONCLUSIONI



INTRODUZIONE



Questa tesi vuole essere una raccolta di appunti per riflettere sull’Arte della relazione d’aiuto in un contesto di malattia e sofferenza. Una malattia atroce come il cancro e di una sofferenza acuta quale quella che può provare la persona con una diagnosi di tumore. Riflessioni su tutti coloro che abitano, con chi soffre, lo spazio del soffrire. Considerazioni e pensieri che prendono spunto dalle conoscenze acquisite in questi tre anni nella scuola di Counseling, dalle ricerche effettuate sull’argomento e dalle mie esperienze personali.

Nella prima parte vorrei fare una riflessione su cos’è il cancro, che significato assume questa diagnosi per quelle persone che all’improvviso si trovano coinvolte in questa malattia e alle quali sorgono spontanee domande esistenziali del tipo: potrò ritornare a lavorare? che ne sarà della mia famiglia? Perché proprio a me?
La diagnosi di una patologia oncologica si associa da sempre, per la maggior parte dei pazienti, a sentimenti di paura e ad intensi turbamenti emotivi.
Il coinvolgimento in un sistema di cura complesso e generalmente frammentario, la necessità di sottoporsi a periodici controlli e a terapie, le fasi di remissione e di ripresa di malattia, l’aggravamento della situazione clinica con l’esacerbazione di sintomi fisici talvolta solo in parte controllabili, costituiscono momenti carichi di implicazioni e di significati nell’esperienza di chi incontra sulla propria traiettoria esistenziale l’evento cancro.

La diagnosi di tumore non costituisce, d’altra parte, una vicenda esclusivamente personale. Essa riguarda infatti la totalità dei sistemi sociali in cui l’individuo è coinvolto ed in prima istanza la sua famiglia, nell’ambito della quale avviene una globale riorganizzazione ed una ridistribuzione dei ruoli finalizzata a favorire l’adattamento dell’intero sistema alla nuova situazione. Così può avvenire che la persona fisicamente malata venga a perdere il suo ruolo di soggetto autonomo e indipendente e che gli altri familiari si sentano responsabili della sua salute e della sua vita, convogliando gran parte delle proprie risorse pratiche ed emotive per affrontare la nuova realtà.
E poi c’è la sofferenza.
È un argomento, questo, di solito poco trattato; eppure nella formazione di ogni singolo uomo si dovrebbe lasciare un “piccolo” spazio perché sulla sofferenza possa apprenderne … nei libri sulla sofferenza si sorvola sulla necessità di una preparazione personale ad affrontare le proprie difficoltà. Un tempo la cultura abituava in qualche modo alla sopportazione (talvolta fatalistica) delle difficoltà della vita, ma questa predisposizione sembra scomparsa dalla cultura contemporanea. Siamo allergici ad ogni sofferenza, ad essa, dunque, non sembra servire prepararsi, neppure pensarci; per fortuna, soffrire è sempre qualcosa che riguarda solo gli altri, come la morte! Il dolore è per istinto psicologicamente negativo, e non tanto perché inconsciamente vissuto come castigo (quando anche solo come castigo pedagogico), talvolta piuttosto perché il nostro soffrire è consapevolezza di soffrire. Il nostro dolore è coscienza del dolore, è unione di sofferenza e coscienza; altrimenti, se non ne fossimo coscienti, non ci riguarderebbe, non sarebbe nostro.
Per questo abbiamo dolore di essere nel dolore, proprio perché la nostra consapevolezza lo configura e lo valuta in rapporto alla nostra vita. Rifiutarne l’esistenza e solo razionalizzarne l’inspiegabilità non servono ad evitarlo.
Piuttosto domandiamoci: come riuscire ad essere attori, cioè gestire l’orientamento del nostro comportamento, di fronte alla realtà della sofferenza? Perché dello stesso dolore noi possiamo farne una pietra, o un’ala per volare più in alto. La sofferenza, quindi, non va solo alleviata, ma principalmente orientata. Il malato non è la malattia; la sofferenza va vissuta e non solo subita; e tutto ciò per evitare che la croce, senza palo verticale, resti solo un’asta senza senso.

Per tutte queste sue caratteristiche e per l’iter ogni volta unico ed irripetibile che scandisce, ogni malattia oncologica porta con sé il rischio di contribuire allo sviluppo di alcuni momenti di crisi nell’individuo colpito e nei suoi familiari, momenti nei quali le strategie messe a punto ed utilizzate solitamente per affrontare e risolvere i problemi non si rivelano più efficaci.

Nella seconda parte vedremo come, partendo dalle considerazioni di Victor Frankl che definisce lo specifico dell'uomo come l'essere che sempre si decide, possiamo aiutare un malato a scoprire come ancora può vivere, possiamo permettergli di vedere che può essere “soggetto” d’azione a sua volta - e per quello che può, e con qualsiasi mezzo ed occasione - lo aiuteremo a svolgere con dignità il proprio compito.
In questo senso il supporto del counselor può offrire al paziente la possibilità di condividere e rielaborare con un interlocutore esterno all’ambito amicale e familiare, formato all’ascolto ed alla comunicazione, i sentimenti e le emozioni che si alternano nei cosiddetti momenti critici, sperimentando l’esperienza profonda di una relazione terapeutica definita dalla volontà dell’individuo malato di aprirsi sulla propria sofferenza perché qualcuno la contenga e lo aiuti nel difficile processo di attribuirvi un senso, e dalla disponibilità del curante ad immedesimarsi ogni volta nella realtà di quest’ultimo, senza tuttavia arrivare a provare le sue stesse emozioni ed i suoi stessi sentimenti.
Il trattato è correlato di mini racconti tratti liberamente da esperienze personali che ho vissuto in passato, legate a un evento tragico di un momento della mia vita: la morte per cancro di mio marito. La stesura di questa tesi mi ha permesso di rielaborare quei vissuti e riattraversarli con una consapevolezza diversa, acquisita attraverso il lavoro personale e gli studi intrapresi in questi anni. Ho capito solo adesso e fino in fondo, quanto tutto il personale medico e paramedico dell’ospedale dove era ricoverato mio marito, mi abbia aiutato e mi abbia accolto insieme alla mia piccola famiglia (io, mio marito e mia figlia di 2 anni), silenziosamente e con discrezione, dandomi la sensazione di non sentirmi mai sola anche nel momento di dolore intenso A loro va il mio più grande ringraziamento, con il proposito di poter essere come loro, e di poter essere in grado, a mia volta di aiutare chi, malauguratamente si trovi in questa situazione così dolorosa.

CONTINUA.................

I PASSEGGERI DEL VOLO PER PARIGI....

“I passeggeri del volo per Parigi sono pregati di recarsi all’imbarco…”
La voce metallica frantumò la ragnatela di pensieri che avvolgevano Gianna, riportandola alla realtà come farebbe un secchio d’ acqua fresca rovesciato addosso una persona addormentata.
Si alzò con un sospiro, prese la sua borsa, guardò la sedia per accertarsi che non avesse dimenticato nulla e cominciò a farsi largo tra una moltitudine di persone.
Sembrava che tutti avessero deciso di partire quel giorno.

Mentre era seduta ad attendere il volo, si era soffermata a guardare gli altri passeggeri.
Aveva provato a indovinare le loro destinazioni.
Era rimasta ad osservare per una decina di minuti un tale con la ventiquattrore, occhiali spessi come fondi di bottiglia e giornale aperto a pochi centimetri dal naso.
Pensò che non si sarebbe accorto di lei, nemmeno in mille anni.
Alcune coppie attorniate da parenti, avevano fedi splendenti al dito come i loro sorrisi.
Facile indovinare le loro destinazione e la leggerezza dei loro pensieri.
Anche lei aveva avuto un sorriso così, meno di un anno fa.
Sentì una stretta al cuore e provò una punta di invidia per quelle scene di vita che non le appartenevano più e forse non le sarebbero mai appartenute.
Non con Sandro almeno.

Quando l’aereo rullò sulla pista staccandosi da terra gli parve di sentirsi leggera.
Poi, l’ansia riprese il suo posto, pesante come un macigno, tanto da levarle il respiro.
Il suo pensiero corse a Sandro, anzi, negli ultimi mesi il pensiero fu solo per lui.

Sapeva che questa visita non sarebbe stata come le altre, era preparata, per quanto si possa essere preparati in situazioni come questa.
Le dosi di morfina che gli stavano somministrando erano così alte da lasciarlo in uno stato di incoscienza per quasi tutto il tempo.
Sarebbe rimasta li, per tutto il fine settimana, a vegliarlo, ad attendere che lui aprisse gli occhi, che la riconoscesse.
Gli avrebbe tenuto la mano cercando di far sentire la sua presenza.
Ancora non poteva credere che le cose erano andate così.

  Sandro era poco più che trentenne, ma il suo fisico atletico e asciutto, lo faceva sembrare un ragazzino
Quando il tumore che lo aveva colpito, si fece riconoscere manifestandosi nella sua spaventosa violenza, per tutti sembrò uno scherzo mal riuscito del destino.
Tutte le sicurezze, tutti i sogni, tutti i progetti, vennero cancellati nel tempo che serve per leggere il referto medico.
Uno di quei referti che rende difficile attaccarsi alla speranza.

Il cielo cambiò improvvisamente colore e l’orizzonte non sembrò più così vasto.
Lo smarrimento e le domande rimbombarono per giorni e giorni, i pensieri divennero confusi, la paura cominciò ad essere indesiderata ospite quotidiana e tutto quello che aveva a che fare con la parola futuro venne accuratamente evitata.

Il tumore in pochi mesi si prese il corpo di Sandro, scavando e sfinendo il suo corpo.
Ma non il suo spirito.
Dopo i giorni di comprensibile smarrimento, fu lui, con una forza incredibile a rincuorare tutti quelli che gli stavano accanto.
Più il suo corpo diventava esile e mostrava i segni della sofferenza, più la sua forza interiore cresceva.
Per Sandro parlare della morte e di una dimensione diversa da quella in cui si trovava, era una cosa che non faceva paura. La considerava una realtà inevitabile, qualcosa da affrontare.
  Gianna cercava sempre di allontanare quei discorsi e le lacrime, che inevitabilmente affioravano nei lunghi momenti di silenzio che a volte cadeva tra di loro come un pesante che rendeva il tempo qualcosa di denso e insopportabile.

Non è facile salutare per sempre un amore.
  Gianna non aveva ancora metabolizzato la parola addio, era una cosa che non era pronta ad accettare.
Aveva una vita felice fino a pochi mesi fa, una vita e una bimba piccola da crescere insieme a Sandro.
Ora avrebbe dovuto fare tutto da sola.

L’aereo aveva cominciato le manovre di discesa.
  Gianna chiuse i suoi occhi e pensò a Sandro, a come l’avrebbe trovato, a cosa avrebbe detto nel caso che fosse stato cosciente.
Si ricordò che nel fine settimana scorsa aveva voluto sapere ogni istante della giornata della piccola.
Aveva sorriso guardando le fotografie della bambina, stringendole con le sue dita ossute.
Poi aveva reclinato la sua testa, quasi avesse voluto lasciarsi andare.
Fu il tempo di un attimo, poi riprese a farsi raccontare ogni progresso della bambina.

  Gianna raccontò che aveva trovato una nuova ninna nanna che sembrava avere un effetto miracoloso su di lei. La calmava, facendola scivolare nel sonno in pochi minuti.

Con sua grande sorpresa, Sandro le chiese di cantarla anche per lui.
Quando la nenia iniziò lui chiuse i suoi occhi, abbandonandosi, uomo bambino, a quella culla di voce.

Quando se ne andò dalla stanza lui stava dormendo.
Gli fu di conforto pensare che era stata la sua voce a regalargli quella momentanea pace e si chiese se il suo sonno avesse ancora dei sogni.


Quando Gianna aprì la porta, Sandro era li.
Gli occhi chiusi, con la flebo nel braccio e la mascherina dell’aria che lo aiutava a respirare.
Il medico disse che probabilmente non avrebbe più aperto gli occhi a causa dei farmaci somministrati, poi la lasciò sola.
Sapeva che erano gli ultimi giorni.
La parola addio, quella che non aveva mai voluto pronunciare, la sentiva dentro.

Ma non si scompose, Sandro  non avrebbe voluto.
Si tolse lo spolverino e si accomodò sulla sedia accanto al letto.
Prese la mano di Sandro e la strinse forte, lui non ricambiò.

Poi dopo qualche minuto di silenzio, incominciò a cantare quell’aria che gli piaceva tanto, sicura che potesse sentirlo.
La sua voce risuonò forte e melodiosa.

  Sandro non si svegliò più.
Si lasciò andare a quella ninna nanna.
L’ultima.

giovedì 27 ottobre 2011

RUDOLF STEINER : I LEGAMI TRA I VIVI E I MORTI

pubblicata da La Scienza Dello Spirito il giorno giovedì 27 ottobre 2011 alle ore 1.48

* Parleremo oggi della vita dell'essere umano nel mondo spirituale (in sanscrito Devachan) fra due incarnazioni. Prima di tutto ricordiamoci che essa non si svolge in un luogo diverso da quello in cui ci troviamo ora. Il mondo spirituale, il mondo astrale, il mondo fisico sono tre sfere che si interpenetrano a vicenda. Per capire, con un paragone,come ci viene nascosta la vista del Devachan pensiamo a quel che erano le forze elettriche nell'universo prima che l'uomo scoprisse l'elettricità. Esse esistevano nell'universo, che le conteneva, ma erano ancora di natura occulta. Quel che distingue il mondo spirituale dal mondo fisico è che al suo attuale grado di evoluzione l'uomo è provvisto di organi che percepiscono il fisico ma non di organi in grado di percepire lo spirituale. Immergiamoci nell' anima di un essere umano che si trovi tra due incarnazioni. Egli ha restituito il suo corpo fisico alle forze universali; allo stesso modo il corpo eterico è ritornato alle forze della vita; infine le parti del corpo astrale sulle quali non ha ancora personalmente lavorato sono state rese al loro ambiente originario. Egli si trova nello stato spirituale. Non dispone più di ciò che le entità spirituali avevano elaborato nel suo corpo eterico e nel suo corpo astrale. Ciò che egli stesso, invece, ha forgiato in sé, nel corso di numerose esistenze, è ora un suo bene personale. Rimane suo, anche nel mondo spirituale. Perché il risultato del lavoro che noi realizziamo nel mondo fisico è quello di aumentare sempre più la nostra parte di coscienza nel mondo spirituale.Il legame di due persone può essere il risultato di condizioni naturali, come tra fratelli e sorelle. Ma un legame morale, spirituale, si aggiunge sempre a quello naturale.Grazie al karma, noi siamo membri di una stessa famiglia. Ma non tutto è regolato dal karma. Un rapporto puramente naturale, senza che vi si mescoli un altro elemento, si trova, in fondo, solo tra gli animali. Gli uomini possono legarsi attraverso il karma, ma per ragioni di natura morale. Due esseri che non erano uniti da niente e che erano separati perfino da ostacoli esterni possono, per esempio, diventare amici intimi. Possiamo perfino figurarci che in un primo tempo si fossero reciprocamente antipatici e che si siano scoperti solo a poco a poco grazie a un contatto puramente spirituale e morale. Questo legame, paragonato a quello tra fratelli e sorelle, sarà un potente mezzo per sviluppare organi spirituali. Esso prende forza nella nostra epoca,anche se inconsciamente esso deriva già dal Devachan. Le facoltà che l'uomo sviluppa attualmente grazie a questi legami puramente interiori dell' amicizia gli danno la possibilità di sperimentare effettivamente qualcosa di spirituale, di prepararsi per il Devachan. Se gli mancano questi rapporti da anima a anima egli viene privato dell'elemento animico nel Devachan, come qui sulla Terra un cieco è privato del colore. Colui che acquisisce sulla Terra la pratica della vita spirituale percepirà lo spirito nell'aldilà, nella misura in cui la sua attività interiore qui glielo farà comprendere. Da qui il valore inestimabile dell'esistenza sul piano fisico. Per gli uomini non c'è altro modo di acquisire organi in grado di percepire lo spirituale se non avendo un'attività spirituale sul piano fisico: è attraverso questa che si aprono i nostri organi di percezione spirituale. E nessuna preparazione può essere migliore dei legami dell'anima che uniscono esseri che nessuna ragione istintiva univa in un primo tempo. Da questo punto di vista, è bene che uomini si raggruppino, uniti in un'opera spirituale. Le guide dell'umanità possono riversare forze di vita attraverso di essa. Quel che ci si scambia attraverso un lavoro in comune di questo tipo, quando viene svolto in modo sano, prepara lo sguardo a sperimentare le realtà spirituali. Se abbiamo forgiato in questo modo un legame spirituale con un altro essere sul piano fisico, questo legame fa parte essenziale di ciò che permane dopo la morte. Ed esso rimane attivo nel defunto e in colui che gli sopravvive. Quello che ha lasciato il piano fisico resta unito a colui che vi rimane attraverso uno stretto legame ed è reso ancor più cosciente del rapporto che lo lega in questo modo al suo amico.Il defunto resta in rapporto, dopo la morte, con gli esseri che ama. I rapporti precedenti sono come cause che, nel Devachan, producono effetti. Quello è il mondo dei risultati, degli effetti, mentre il mondo fisico è il mondo delle cause. L'uomo può formare i suoi organi superiori solo cercando sul piano fisico la causa che produrrà tali organi. Ed èproprio a questo scopo che egli viene posto sul piano fisico (1).Gli uomini devono qui sulla Terra conquistarsi sempre di più rappresentazioni sulla vita dopo la morte per essere in grado di ricordarsene dopo la morte, onde portare con sé qualche cosa al di là delle porte della morte (2).Morire in realtà è solamente uscire dalla coscienza del corpo fisico (3).Nella morte l'uomo si strappa fuori dalla Terra. E, se abbiamo raggiunto la conoscenza immaginativa, possiamo vedere che l'uomo non muore, bensì ci è dato di scorgere, in una visione diretta, come nella morte egli risorga dal suo cadavere in mezzo ad immagini viventi (4).Quando siamo passati attraverso le porte della morte, la nostra sapienza continua, la vita continua, diventiamo più capaci. Questo è un fatto di cui gli uomini debbono compenetrarsi (5).I pensieri che noi ci formiamo qui sui mondi spirituali sono un nutrimento per una delle forze più importanti che ci rimangono dopo la morte: per la forza del pensare. Possiamo avere tra la morte ed una nuova nascita immaginazione, ispirazione, intuizione, ma non possiamo avere i pensieri. Questi li dobbiamo guadagnare qui sulla Terra (per mezzo della coscienza dello Spirito). Di questi pensieri che ci siamo elaborati qui sullaTerra ci nutriamo per tutto il tempo tra la morte e una nuova nascita e abbiamo fame di tali pensieri quando non ce li siamo formati qui sulla Terra. La salvezza della Terra dipende dalla realtà che l'umanità nel presente non trascuri di formarsi pensieri sui mondi spirituali.Poiché moltissimo dipende dal fatto che il cammino dell'evoluzione dell'umanità venga compreso spiritualmente (6).Così l'uomo può sempre meglio imparare qui sulla Terra come sarà la sua vita quando avrà passato la soglia della morte. Escludere il sapere sui mondi spirituali durantela vita sulla Terra vuol dire rendersi cieco nel senso animico-spirituale per la propria vita dopo la morte. E si penetra nel mondo spirituale proprio come un invalido, dopo la morte,se si abbia trascurato la volontà di sapere qualcosa del mondo spirituale; poiché l'umanità si evolve verso la libertà. Naturalmente si passa attraverso le porte della morte anche se qui sulla Terra non si è sviluppato alcun sapere intorno al mondo soprasensibile; ma sientra in un mondo nel quale non si vede nulla, nel quale si può procedere solo a tastoni. Sia pure stato, qui sulla Terra, un uomo chiaroveggente quanto si vuole, abbia pure egli guardato in modo chiaro il mondo spirituale: se è stato troppo pigro e non ha trasformato quanto gli è stato dato di vedere in concetti ordinari afferrabili con la logica, egli sarà dopola morte come accecato nel mondo spirituale.Il materialismo rende gli uomini ciechi quando essi passano le porte della morte. Per l'intera vita cosmica ha valore il fatto che l'uomo miri ad un sapere spirituale oppureche trascuri di raggiungerlo. L'epoca in cui vi si deve arrivare è ormai giunta. Oggi per il progresso dell'umanità è necessario elevarsi al sapere soprasensibile (7).Dal momento in cui si risveglia la coscienza dell'uomo dopo la morte, questa è sempre presente per l'anima che ha passato le porte della morte. La morte le sta sempre dinnanzi, ma le appare l'avvenimento più bello, più splendido, più grande; come l'avvenimento che l'ha risvegliata al mondo spirituale. Essa è una meravigliosa maestra di forza che all'anima aperta mostra che vi è un mondo spirituale, un risorgere dello Spirito parallelo al completo cancellarsi di quanto è fisico. In tale comprensione l'anima avanza e cresce a poco a poco(8).Il nostro cadavere in realtà ha ben poco a che fare con noi; esso interessa invece moltissimo al Cosmo. Con il suo aiuto la Terra intera pensa e si fa delle rappresentazioni come noi lo facciamo durante la vita terrena parzialmente con il nostro cervello. Chi ha compreso che cosa sia la morte non la teme più. La morte è la cosa più sublime, l'avvenimento più possente del nostro essere qui sulla Terra e là nel mondo spirituale (9).L'antroposofia è il linguaggio che a poco a poco impareranno a parlare i vivi e imorti. Se le anime che sono ancora sulla Terra e che hanno accolto in sé rappresentazioni sopra i mondi soprasensibili, se queste anime, prima della morte, hanno diffuso amore possono farlo anche dopo la morte. Le anime diventerebbero sempre più solitarie, semprepiù lontane le une dalle altre, se non potessero creare nessun ponte, se non riuscissero a creare quel legame che solo accogliendo concetti spirituali deve formarsi tra un'anima e l'altra.E allora anche le anime sentiranno qui sulla Terra ciò che può divenire così fruttifero per i morti. Non si può fare giustamente ciò se non si sente quale benedizione possa essere per i morti il leggere per loro. Questo è per loro uno dei più grandi doni d'amore. Si possono così formare come dei centri spirituali attraverso cui moltissimo può venire raggiunto per il procedere dell'evoluzione dell'anima dopo la morte (10).Siamo noi che siamo ancora in vita a dover creare le condizioni necessarie a che i morti possano vederci. Nella vita della nostra anima dobbiamo portare ben chiara la convinzione: l'essere che ha passato le soglie della morte vive. Sappiamo che i cosiddetti morti vivono. L'uomo può diventare un aiuto per i morti. Ma anche coloro che sono morti prima di noi possono aiutarci. Molti sanno benissimo che devono ringraziare i loro morti per le conoscenze spirituali acquisite. Sovente muoiono bambini nella prima infanzia. Eppure essi sono talvolta anime molto progredite nel mondo spirituale che ci possono aiutare molto. Ciò che si sviluppa con il pensare intellettuale non arriva ai morti. I morti percepiscono la luce della verità spirituale. Solo l'antroposofia oggi può giungere dalla Terra fino ai morti (11).Vi è una grande differenza per i morti se qui sulla Terra dorme un gruppo di uomini che portano solo pensieri e sentimenti materialistici nel mondo spirituale, oppure se essi hanno durante la veglia compenetrato le loro anime con rappresentazioni spirituali.I nostri pensieri non esistono solo per i vivi ma sono direttamente presenti per i morti. Perciò bisogna ripetere ancora ciò che già così sovente è stato consigliato ai nostri amici: di leggere per i morti. Ci si faccia un'immagine della persona che è nel mondo spirituale. Allora il morto legge insieme a noi. Il morto è nel mondo spirituale, è vero, ma i pensieri sul mondo spirituale devono essere formati sulla Terra. La cosa più bella, la cosa più importante che possiamo donare ai nostri morti è di leggere per loro qualcosa che abbia un vero contenuto spirituale. Come la pioggia scende benedicente dalle nubi sulla Terra, così il pensiero luminoso si solleva verso i morti, su, fino alle regioni dello Spirito.I morti irradiano le loro forze giù sui viventi. Noi dovremmo pensare, parlare, agire con la coscienza di poter reggere allo sguardo dei morti. Così provochiamo un vero aiuto reale se pensiamo sovente che i morti ci guardano. Sin nella punta delle dita si può avere un tale chiaro sentire di questo operare dei morti verso di noi dal mondo spirituale (12).I migliori lettori per i morti sono gli esseri umani che hanno vissuto vicino a loro e quelli che erano collegati il loro oppure uniti da vincoli di amicizia, quelli che in un modo o nell'altro, prima della loro morte, avevano con loro un reale rapporto. Certo è comprensibile che noi piangiamo i nostri morti, ma se non possiamo superare questo stato d'animo significa che non abbiamo fiducia nella sapienza che regna nel mondo; e il desiderio che il nostro caro non sia morto, che si trovi ancora con noi e non nel mondo spirituale, è un sentimento che danneggia il morto sopra ogni cosa. Facilitiamo la vita dei nostri cari che hanno passato le soglie della morte se riusciamo ad adattarci realmente al nostro destino e a pensare al morto sapendo che la sapienza che regna nel mondo ha voluto prenderlo con sé nel momento giusto, perché essa ha bisogno di lui in un campo dell'esistenza diverso da quello che era qui nella sua vita terrena.E gli uomini impareranno anche a parlare dei morti come di esseri viventi, viventi si intende spiritualmente. Si può pensare ad un morto com'era durante la sua giornata di lavoro terreno. Si può rendere vivo nella propria anima tutto l'amore che si è avuto per lui,e verrà certamente un momento in cui nell'anima si farà strada il sentimento: "Si, il morto opera come se agisse attraverso le mie mani, attraverso la punta delle mie dita, come se egli accendesse il mio fuoco nell'anima - io sento la sua forza in me". Noi impariamo a poco a poco a sapere che i morti non sono morti, sono passati solamente a un altro campo di azione; essi operano insieme a noi in quello che noi compiamo (13).Come può venir migliorata la nostra vita sociale? Può esserlo se noi impariamo a chiedere il consiglio dei morti. Essi devono venir uditi dagli uomini e gli organi esecutori devono essere gli uomini che vivono sul piano fisico. Di un parlamento in cui ci si sforzi di lasciar parlare i morti non avremo ancora per molto tempo notizia! Ma in dati campi non ci sarà salvezza se non si vorrà lasciar discutere con noi anche i morti, se da questo lato la vita sociale non verrà spiritualizzata. Nessun essere umano, che dai mondi spirituali entri nel mondo fisico per incarnarsi,è un risultato della necessità fisica. Ogni penetrare di esseri viventi nel piano fisico è un miracolo. Nel padre e nella madre non è creata la causa, ma soltanto l'occasione per tale discesa (14).I morti si muovono in mezzo a noi. L'uomo dopo la morte resta legato con l'essere della Terra; fili di contatto scendono da lui verso l'esistenza terrena. Noi non possiamo né sentire né volere senza che nel nostro sentire e nel nostro volere operino questi morti che erano legati karmicamente a noi.Il Sé spirituale sviluppa la prossima cultura per mezzo del fatto che i morti saranno i consiglieri dei viventi sulla Terra (15).Una vera amicizia fondata sulla scienza dello spirito continua con più grande intensità dopo la morte, essa arricchisce con nuove forme il mondo dello spirito. Anche un nobile godimento estetico della natura è nutrimento per il Devachan. L'attività e la beatitudine nel Devachan consistono specialmente nell' attività creatrice. I grandi mutamenti della Terra sono creati dall' essere umano sotto la direzione e la guida degli esseri superiori. I morti lavorano alla trasformazione della fauna e della flora. La trasformazione della Terra è dovuta all'operare dei morti. Anche nelle forze della natura dobbiamo vedere le azioni degli esseri disincarnati. Ciò che l'uomo non può fare qui sulla Terra lo compie nel periodo che vive tra la morte e una nuova nascita (16).Tutte le anime che sono giunte alla morte per causa di una catastrofe tellurica(terremoti, eruzioni vulcaniche) saranno nella prossima incarnazione i migliori spiritualisti.La loro morte violenta è stata nello stesso tempo l'ultimo colpo che ha spezzato definitivamente per loro gli ultimi legami del materialismo (17).La vecchiaia non ci spaventa perché sappiamo che quando qui la vita ha raggiunto il suo punto più alto e il corpo comincia ad appassire quello che è stato conquistato si accentra in un nuovo germe che sboccerà a suo tempo in una più ricca vita sulla Terra. Questo sviluppo nello spirito come ce lo insegna il Cristianesimo racchiude in sé un infinito conforto e ci rende meno dolorosa la separazione da coloro che amiamo, perché sappiamo che l'esserne divisi ha origine solo dalle limitazioni fisiche e che nello spirito potremo ritrovare la via verso i nostri cari. Noi sappiamo che qui sulla Terra si trova il nostro campo di lavoro e che qui deve venir gettato il seme per la nuova vita (18).Morire giovani per colpa di un avvenimento esterno rafforza per la prossima vita la forza animica dell'intelletto pensante. Morire per malattia rinvigorisce la forza del volere per la vita seguente. Attraverso l'esperienza dell'infelicità dobbiamo crearci il pareggio perle azioni sbagliate ed è per questo che noi stessi ci prepariamo a quel dolore che più tardi dovremo subire nella vita. Elaboriamo noi stessi i dolori e progrediamo nel superarli (19).La morte è terrificante, almeno lo può essere per l'uomo finché egli dimora nel corpo fisico. Ma quando l'uomo è passato attraverso le porte della morte e si guarda indietro vede la sua morte, vede che essa è l'esperienza più bella che vi sia per l'uomo nel cosmo. La sua morte è l'avvenimento più meraviglioso, più possente, l'esperienza più splendida cui può rivolgersi lo sguardo del defunto (20).Se un'anima, durante la vita, ha accolto in modo molto forte, con i sentimenti più intimi e con tutta l'anima, gli impulsi dell'antroposofia, allora essa può, dopo la morte,sviluppare tali impressioni in modo completamente diverso dalle altre anime. Se noi leggiamo ai nostri morti gli insegnamenti della scienza dello spirito, oppure raccontiamo loro di essi, questo arriva loro come un respiro di vita spirituale, come un elisir spirituale divita; essi ricevono così luce attraverso di noi che siamo ancora quaggiù. E questa luce che per noi dapprima è simbolica, perché noi udiamo delle parole e le accogliamo come pensieri nelle nostre anime, i morti la vedono realmente come una luce spirituale. L'intero essere diventa un possente organo di percezione. E' veramente importante che noi impariamo a dire: colui che è passato per le portedella morte ha solamente acquistato un'altra forma di vita e per il nostro sentire si trova, dopo la morte, come qualcuno che, per le vicissitudini della vita, abbia dovuto emigrare in una terra lontana, nella quale noi potremo raggiungerlo solamente più tardi, così che non abbiamo null'altro da sopportare che un periodo di distacco, di separazione transitoria(21).Dobbiamo imparare a considerare i morti non come morti, bensì come entità che vivono in mezzo a noi, che vivono ed operano tra noi. Nel futuro si avrà bisogno, per lo sviluppo della nostra civiltà, dell'aiuto di coloro che sono lassù. Poiché fa parte di quanto dipiù bello e di più significativo riusciamo a conquistare per mezzo della scienza dello spiritoil riuscire a vedere coloro che sono passati attraverso le porte della morte come sevivessero in mezzo a noi, come se ci venissero incontro e noi potessimo accompagnarci aloro come ci troviamo con quelli che incontriamo nella vita fisica (22).I bambini o tutti coloro che muoiono ancora giovani portano con sé dalla Terra nel mondo spirituale ciò che non vi si può portare se si muore in età avanzata. Questo dà al mondo spirituale una certa gravità ed impedisce alle forze luciferiche di staccare completamente il mondo spirituale da quello fisico. Se siamo vissuti sulla Terra fino alla vecchiaia allora portiamo un mondo spirituale entro la Terra fisica, nello stesso modo in cui portiamo un mondo fisico nel mondo spirituale se moriamo ancora giovani. Per il fatto che in un certo senso emaniamo un forte elemento spirituale quando diventiamo vecchi viene impedito il successo del piano di Arimane. Il pericolo cui vanno incontro gli uomini è che senza la scienza dello spirito essi possano perdere sempre più la loro anima. Oggi a questa perdita è posto ancora un freno per il fatto che quando muoiono dei giovani al mondo spirituale viene portata una certa gravità e così viene rovinato il piano fatto da Lucifero; quando invece muoiono persone anziane viene emanata, irradiando fuori dal loro essere entro il mondo fisico, tanta spiritualità da venir impedito il realizzarsi del piano di Arimane. Ma se la corrente che si oppone all' evoluzione della Terra continua sempre più, allora tale freno potrebbe non bastare e questo pericolo non va dimenticato. (23)
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* .NOTE(1) - Conferenza del 9.10.1905 contenuta in "Rudolf Steiner et nos morts Etudes sur la viede l'esprit", Editions de La Science Spirituelle, Parigi, 194?(2) - "La scienza del divenire dell'essere umano", 0.0. 183, non tradotto in italiano. Questae le successive citazioni sono tratte da una raccolta (dattiloscritta) di pensieri di RudolfSteiner sulla morte realizzata dalla Signora E. Hilverkus nel 1949 con l'autorizzazione diMarie Steiner (traduzione di Fanny Podreider riveduta da S. Boscardin).(3) - "Alle soglie della scienza dello spirito", 0.0. 95, pubblicato in italiano da BasaiaEditore, 1983, con il titolo "La scienza dello spirito".(4) - "Considerazioni esoteriche sui nessi karmici", vol. V, Editrice Antroposofica, Milano1990.(5) - "La morte quale modificazione della vita", 0.0. 182; pubblicate in italiano solo treconferenze dalla Rivista Antroposofia 1948, 1955, 1958.(6)- "I retroscena spirituali della Prima Guerra Mondiale", 0.0. 174b, non tradotto initaliano.(7) - "Nessi cosmici nella formazione dell'organismo umano", 0.0. 218; la citazione è trattadalla conferenza del 9.12.1922 pubblicata sulla Rivista Antroposofia nel 1990, pag. 321.(8) - Conferenza tenuta a Berlino il 3.3.1915, non risulta nell'O.O.(9) - "Impulsi della scienza dello spirito per lo sviluppo della fisica", 0.0. 320, non tradottoin italiano.(10) - "Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita", 0.0. 140, non tradotto initaliano.(11) - Conferenza tenuta a Erfurt il 13.4.1913, non risulta nell'O.O.( 12) - "Come si acquisisce la comprensione per il mondo spirituale? ", O. O. 154, nontradotto in italiano.(13) - "I nostri morti", 0.0. 261, non tradotto in italiano, V. anche nota 1.(14) - "Gli esseri spirituali e le loro azioni", vol. 111, 0.0. 179, non tradotto in italiano.(15) - V. nota 5.(16) - V. nota 3.(17) - "Il mistero cristiano", 0.0. 97, non tradotto in italiano.(18) - "L'avvento del Cristo nel mondo eterico", 0.0. 118, pubblicato da Tilopa nel 1990 conil titolo "Sulla via di Damasco".(19) - "Natura interiore dell'uomo e vita fra morte e nuova nascita", 0.0. 153, EditriceAntroposofica, Milano 1975.(20) - V. nota 8.(21) - "Esperienze dell'uomo dopo il passaggio attraverso la soglia della morte ", EditriceArcobaleno, 1985, da 0.0. 159 "Il mistero della morte".(22) - "Il mistero della morte", 0.0. 159, V. anche nota precedente.(23) - V. nota 2.

giovedì 28 luglio 2011

mio padre

Roma 24 giugno 2011

Tanti auguri a te, tanti auguri a te....

Il motivetto rimbomba nella mia testa, ma non so da quale angolo sia uscito. E' piuttosto infantile come le immagini che rivedo e che non mi appartengono.
Bambini emozionati che attendono il via per soffiare a pieni polmoni sulle candeline della torta per poi tuffarsi sui regali.
Ma oggi a compiere gli anni non c'e' nessun bambino. Oggi è il tuo compleanno papà.

Sono venuta alla tua festa, non sarei voluta venire, ma sono qui. tanti litigi, tanto astio, ma sono qui.
una sfida a difendermi da tutte le emozioni che mi assalgono in queste ricorrenze, non è facile trattenere le manciate di giorni inutili che mi hai regalato nei giorni della mia infanzia. Vorrei tanto scaricarteli addosso, ma forse non servirebbe a niente.
Per cui ho deciso di stare qui, ad affrontare il tuo sguardo e a capire cosa sento adesso per te.

Perché nonostante sia passato molto tempo, le botte che mi davi con indifferenza, le sento ancora adesso che sono donna. Le tue frustrazioni scaricate sui figli, gli anni del collegio e quel mio sentirmi perennemente in colpa per essere nata femmina non mi hanno del tutto abbandonato.

Eppure eri tu che eri eternamente disoccupato e stavi sempre a casa, ma quando avevamo bisogno di te, paradossalmente non c'eri mai.
Anche se a volte l'assenza era meglio della presenza. Il vuoto lo puoi riempire con qualcosa, la tua presenza non poteva essere eliminata e volte era insopportabile.
Amavi farti odiare.
Eri impareggiabile quando mi facevi assistere, muta nell’angoscia, alle percosse e ai pugni che davi a mia madre, impotente di fronte a te, come tutti noi spettatori di quell'assurda violenza.
Gli sguardi che ci scambiavamo tra di noi, le occhiate che davo a mia madre erano fatte di una silenziosa solidarietà.

Solo sentirti respirare era terrore.

Ricordo ancora quella volta che con un manrovescio mi hai rotto il setto nasale: quanto sangue mi hai fatto versare solo perché quella volta eri di cattivo umore e ti dava fastidio che non mangiassi la minestra. Con la faccia riversa sul piatto, muta ascoltavo la tua ira. Hai rotto il silenzio ribaltando la tavola e poi mi hai colpito. Il sangue gocciolava sul pavimento, e la testa mi girava forte, mentre la paura mi divorava lo stomaco. E tu urlavi, urlavi, urlavi....
Ho provato negli anni a pensare a come ti potevi essere sentito quella volta, troppo simile a tante altre volte, ma tu hai mai pensato a come mi sono sentita io? Pensa che nel mio mondo bambino ho provato persino a giustificare il tuo cattivo umore. I tuoi scatti d'ira.
Ma tu eri sempre di cattivo umore.

Lo eri di mattina, perché volevi dormire
Lo eri di pomeriggio perché noi, i tuoi sette figli, non riuscivamo a stare in perfetto silenzio.
Lo eri alla sera, dove dopo una giornata inutile la tua ira doveva trovare sfogo, dovevi dare un senso alla tua nullità.
Su di noi o sulla tua sposa, come la chiami ancora adesso. Un oggetto dei tuoi desideri e delle tue violenze, incapace di ribellarsi al tuo volere, ha messo alla luce ben sette figli.

Siamo ancora tutti qui. Non tutti! perchè ancora oggi astio e rancore non abbandona gli animi.
Anche loro si portano dietro i segni della tua educazione, ma sono tutti ancora in piedi, anche se la vita per loro, non è facile.
Sono li intorno e chissà, forse riescono anche a provare qualcosa, un sentimento che si avvicina al bene.
Ora sembra più facile. Ora che sei un vecchio leone sdentato e il cancro ti sta mangiando da dentro è decisamente più semplice. Il dolore ti piegherà in due prima o poi e le gambe non ti sosterranno più, sarà allora che allungherai la mano non per colpire, ma per chiedere aiuto.
Loro sono li e chissà magari ci sarò anch'io.

La pietà spesso prende il sopravvento sul passato e questo potrebbe essere con tutta probabilità il tuo ultimo compleanno e chissà, se quando avverrà il momento del distacco eterno, ti porterai via anche tutte le sofferenze che mi hai inflitto.
Chissà se mi sentirò più leggera, se avrò Natali e compleanni diversi, senza che il passato inquini il presente e renda pauroso il futuro.

Spesso osservo i miei fratelli e le loro vite. Il vittimismo di alcuni di loro mi ricorda il tuo. Gli errori che spesso hanno fatto sono frutto dei tuoi insegnamenti. Una spirale da cui sembra non si riesca mai a uscire.
Le mie sorelle sentono il peso di essere femmine. Quante volte ci siamo sentiti persi in questa vita che è apparsa molte volte come un immenso labirinto.

Ma sono qui i tuoi figli, ma hanno tutti fiato e vita, hanno giorni da spendere, speranze da consumare e cicatrici da cancellare.
Hanno ancora la forza di vivere un giorno come questo, di andare nel negozio di sotto a prendere una torta e stappare una bottiglia di vino.
Il rituale della vita a volte mi sorprende, mi stordisce.
E tu sei li al centro, e mi chiedo se capisci quello che stai vivendo e se sai che questi sono i tuoi ultimi giorni.

Tu non hai più niente e mi chiedo se quando posi la testa sul cuscino, adesso che stai male, non pensi alle macerie della tua vita.
Mi chiedo se prima di andartene avrai il coraggio di chiedere scusa a qualcuno di noi.
Se avrai il coraggio di comportarti da uomo.
Se ambisci a qualcosa di simile al perdono, vorrebbe dire che per una volta almeno ti sei sentito in colpa.
Ignorante irresponsabile, è questo che ho pensato di te papà e lo penso ancora.

E anche quando te ne sarai andato, le cose qui non andranno come vorrei. Non c'è mai un lieto fine scontato, in questa trappola di vita che ci hai regalato.

Però il tempo qualcosa mi ha insegnato.
So tutto quello che non si deve fare per vivere in modo dignitoso.

La bambina che picchiavi non c'è più.
Ora sono donna.
Ho un po' meno paura e più coraggio.

mercoledì 6 aprile 2011

LETTERA A MIO FIGLIO

LETTERA A MIO FIGLIO

Nel mio percorso interiore, alla ricerca di una verità più alta, nelle mie preghiere, non ho mai chiesto nulla a Dio.
Forse perché me lo sono sempre immaginato occupato con problemi più importanti e urgenti da risolvere, o forse perché sono consapevole che avendo una casa, potendo mangiare tre volte al giorno, sapendo leggere e scrivere e altro ancora, sono messo meglio di oltre 5 miliardi di persone.
Consapevole della mia ricchezza e dei miei limiti, non ho mai osato disturbarlo.
Ma quanto poco possa valere la mia apparente felice condizione e’ stata una consapevolezza maturata al tuo arrivo.
Catapultato nel mondo, in una notte inspiegabilmente calda, sono corso dalla tua mamma che, affaticata e con le lacrime agli occhi, ti aveva visto solo per un secondo, senza averti potuto abbracciare e senza sapere se avrebbe potuto rivederti.
Loro mi parlavano e mi spiegavano, ma io non ero sicuro di capire tutto quello che mi dicevano e non ero nemmeno sicuro di voler sapere quello che sembrava chiaro.
Tu eri piccolo, molto piccolo, tanto piccolo da non riuscire a contenere la vita stessa.
I tuoi occhi, i tuoi polmoni, il tuo cuore, le tue mani, tutto era semplicemente accennato, come la bozza di un capolavoro che un artista geniale e distratto si era dimenticato di completare.
Con mille pensieri in testa, da solo, mentre il mattino nasceva e risvegliava il mondo, cominciai a percorrere quei cento metri che mi avrebbero condotto a dove tu stavi.
La luce disperdeva il buio, la luce che e’ vita, la luce che tutti dovrebbero avere e vedere, la luce che a te era negata.

“Piccolo come un Lillipuziano, questi bambini ci insegnano il coraggio della vita…”
Questo era il cartello che mi accolse al mio ingresso in un mondo che non avevo nemmeno immaginato potesse esistere.
Un’infermiera paziente mi spiegava come comportarmi per arrivare fino a te.
Ma non riuscivo a comprendere le sue parole, in preda ad una speranza che sconfinava nello sconforto.
Non mi sono mai sentito così. Incapace di comprendere la più elementare delle cose.
Poi ti vidi; fu per poco, un minuto credo, non di più.
Sembravi un uccellino senza piume, lungo una spanna, gli occhi chiusi, e tanti, troppi tubi che ti uscivano da ogni parte del corpo; eri avvolto da una pellicola che ho sempre visto usare per avvolgere i cibi, i monitor registravano tutto di te.
Eri diverso da come ti avevo immaginato, troppo diverso da qualsiasi pensiero, da qualsiasi sogno.
Ma non ero deluso. Ero fiero di te, perché combattevi; ti eri attaccato con una tenacia incredibile al sogno della vita.
“Può toccarlo…” E ti presi la mano, piccola, più piccola della parola stessa, e sentii un brivido.
Sentii la vita.
Scorreva, in quel piccolo cuore, dietro a quelle palpebre chiuse, dietro a quella pelle arrossata.
Eri diverso, non eri come gli altri: lo capii in quel preciso momento.
Io ero padre e tu mio figlio.
Fu allora che chiesi a Dio un favore, per la prima volta nella mia vita.
Tu dovevi vivere.
Se aveva bisogno di qualcuno, sarei andato io al tuo posto. Avrei fatto io il tuo lavoro.
Tu dovevi stare con la tua mamma e mi avresti conosciuto attraverso lei.
Sì, tu dovevi vivere…
Lasciai quella stanza con una terribile voglia di rivederti…
Tu stavi lottando ed eri solo; ti immaginavo solo, ti pensavo solo.
Lotteremo con te, piccolo inimmaginabile amore.

scritto da Stefano Borghi