mi piace leggere, viaggiare e il mare in tutte le stagioni. credo fermamente in tutte le ragioni dell'essere, nel suo manifestarsi e nella profonda bontà dell'animo umano.

mercoledì 10 novembre 2010

COME LE STELLE - PENSIERI DI UN MALATO DI CANCRO

La sera sta allungando la sua mano.
Vedo le sue dita penetrare nella finestra della mia stanza allungando le ombre, spingendo verso di me un senso di solitudine che per quanto faccia so che mi prenderà dentro, maltrattandomi la notte.
Le visite anche per oggi sono finite e io posso riporre il mio coraggio nel cassetto.
Fingere adesso non serve.
Mia moglie mi ha salutato con un bacio e di quel contatto conserverò il ricordo fino alla prossima visita.
Non ho potuto abbracciare la mia bambina però, e questo mi fa male più della malattia.

Le luci si spengono e per me inizia il periodo del riposo notturno o della dannazione.
Le luci del corridoio filtrano ovattate, e infermieri passeggiano per i corridoi, conversando.
Sento pezzi dei loro discorsi, sono squarci di vita. Penso che non molto tempo fa, avevo anch’io le stesse preoccupazioni e i loro sorrisi.
Anche nelle mie parole vi era la certezza di un tempo da vivere.
Un tempo che sembra sempre infinito quando non si hanno ancora 37 anni, una moglie giovane e una figlia piccola da crescere.
Ma il destino ha un modo tutto suo di intendere la vita e quando decide di portarti il conto non puoi rifiutarti di pagare.
Il prezzo che devo pagare io al destino è davvero molto alto, e ha un nome:
Linfoma non Hodging lo chiamano, è una forma di cancro che non lascia molto spazio alla speranza.
Nel mio caso la speranza si è dissolta con il tempo che del destino ne è l’esattore.
Mi ricorda ogni giorno passato e non scorda di segnarsi nemmeno un giorno.
So che non avrò molto da vivere e per quanto faccia mi rendo conto di non essere pronto per l’ultimo viaggio.
Anche se il bagaglio è pronto.

La notte pesa e dormo sempre di meno.
La memoria sfoglia il suo personale album e mi ricorda come ero.
Lo specchio mi dice come sono.

Avrei voglia di vivere ancora un po’ del mio tempo migliore, di quando giravo in moto senza meta assaporando la vita e la libertà di una Roma che di sera mi è sempre sembrata bellissima.
Vorrei riappropriarmi della mia allegria, quella che tutti mi riconoscevano venendone contagiati.
Eppure so ancora ridere e sento il calore della vita dentro.
Mi attacco spesso a quei brandelli che mi sono rimasti addosso e cerco di comprendere ogni istante che mi viene concesso.
Anche la sofferenza ha un senso e anche questi giorni sono comunque vita.
So di lottare contro un esercito troppo grande e forte, ma non ho mai pensato di deporre le armi anche se l’epilogo è scritto.

Quello che faccio fatica ad accettare è il distacco da mia figlia e dalle persone che amo.
Adoro la mia bambina, sono pazzo di lei.
Vorrei poterla tenere ancora per mano, portarla a passeggio in un parco e raccontarle quelle storie che le sono sempre piaciute tanto.
Le avevo promesso che un giorno l’avrei portata con me in moto, mettendogli un casco a fiori, portandola a visitare luoghi incantati. Le ho promesso che l’avrei condotta in montagna, in alto, ma così in alto da vedere il nido delle aquile e seguirne il volo.
Quando penso che non potrò osservare il suo cammino, aiutarla nelle difficoltà della crescita e che non potrò vederla diventare donna, osservando il suo profilo cambiare…
Quando penso a questo sento dentro qualcosa che fa male.

Chissà cosa gli resterà di me crescendo, se i ricordi che possiede resisteranno al tempo o andranno man mano sfuocando, fino a perdersi.
Mi chiedo se la mia voce resterà in lei o sarà eco destinato a sovrapporsi e confondersi tra migliaia e migliaia di rumori.
Mi chiedo cosa conserverà e che cosa penserà di suo padre un giorno.

Oggi mia moglie mi ha aiutato ad alzarmi e ho potuto vedere dalla finestra della mia stanza la mia piccola giocare in giardino.
Sembrava un puntino colorato e quando ha alzato il suo faccino al cielo e mia ha fatto ciao- ciao con la manina, non sono riuscito a trattenere la lacrima.
L’amore a volte si scioglie.

Ho guardato mia moglie e le ho detto che mi dispiace.
Mi dispiace lasciarla sola, abbandonare lei e mia figlia, mi dispiace interrompere tutti i progetti che avevo con lei, che non era questa la vita che avevo immaginato.
Lei mi ha rincuorato, mi ha stretto la mano e mi ha detto che tutto andrà bene, che sarei tornato a casa con loro, ma io so che non è vero.
Anche mia moglie lo sa.
Ci sono sempre più silenzi tra di noi, i discorsi a volte escono a fatica e le parole pesano.

Non è facile per lei e so che quando mi guarda vede la malattia che porto addosso e i suoi inequivocabili segni.
Non ho più capelli, sono debole e ultimamente sono dimagrito moltissimo.
Ho un occhio perennemente gonfio che mi sfigura il volto.
Ma lei è qui e non mi fa mancare il suo amore, anche se sento la sua sofferenza.
Sento di amarla e ammiro il suo coraggio.
A volte vivere è più difficile che morire.

Con lei spesso parlo di Dio e di un mondo diverso che presto andrò a scoprire.
Me lo immagino l’aldilà, ci penso spesso ultimamente, in un modo tutto mio.
Spero che mi diano il permesso di vedere mia moglie e mia figlia nel luogo dove andrò.
Quando parlo con lei di questo argomento, cambia spesso discorso; so che non ne vuole parlare, cercando di esorcizzare la paura che inevitabilmente l’assale.
Quasi volesse rimandare l’inevitabile, allontanarlo dalla mente, magari per un alto poco.

La capisco, ma io ne ho bisogno. Ho bisogno di lasciare uscire quello che ho dentro, svuotare gli angoli colmi di angoscia e trovare la mia serenità.
Ho bisogno di far fluire il mio dolore, renderlo liquido ed espellerlo.
Ho bisogno di sentirmi leggero.

Ora sento gli occhi pesanti.
Non so se sono le medicine che prendo, la debolezza dovuta alla malattia, ma mi sento stremato.
Il sonno è alle porte e lo attendo come una benedizione.
Riesco a dormire poco, ma sono sonni profondi, senza sogni.

E’ in questi momenti, pochi minuti prima di scivolare nel sonno che penso a se riaprirò gli occhi e vedrò la luce di un nuovo giorno.
Mi chiedo se il bacio che mi ha dato mia moglie è stato l’ultimo o avrò ancora il conforto delle sue labbra e se la manina protesa di mia figlia è stata levata per l’ultimo saluto.


Volto il mio sguardo verso la finestra e mi godo il pezzo di cielo che posso vedere da qui.
Ci sono tantissime stelle questa sera, e mentre le guardo penso che la vita sia davvero meravigliosa e che qualcosa ho fatto in questa vita.
Penso che tutto deve avere un senso anche se questo a volte è difficile da comprendere.

Le stelle brillano o forse sono solo i miei occhi, ma mi sembrano più vicine del solito stasera.
Invidio il senso di eterno che si portano addosso.

Vorrei essere come loro. (racconto di Stefano Borghi)

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